by Alberto Negri * | 23 Febbraio 2020 9:52
Nella guerra dei vasi comunicanti tra Siria e Libia a perdere non saranno i rivali-alleati Putin ed Erdogan ma proprio gli europei, oltre che le popolazioni locali travolte da immani tragedie umanitarie e sacrificate agli interessi regionali e internazionali.
Compresi quelli italiani che, per la verità, sembrano sempre meno garantiti. Se è vero, come scriveva ieri sul manifesto Michele Giorgio, che Erdogan fa appello a Macron e alla Merkel per una tregua a Idlib che impedisca a russi e siriani di prendere la città, per il leader turco – diventato anche il maggiore attore straniero a Tripoli – l’obiettivo strategico è mantenere gli accordi con la Russia: in gioco ci sono i rifornimenti energetici europei. Erdogan è stato abile a sfruttare le ambiguità europee sulla Libia ottenendo alla conferenza di Berlino un chiaro appoggio dalla cancelliera Merkel, sotto ricatto anche per i 3,5 milioni di profughi ospitati dalla Turchia.
Ha rifornito Sarraj di armi e milizie jihadiste, violando ogni embargo, mentre otteneva dal vulnerabile leader libico l’appoggio allo sfruttamento delle risorse di gas nel Mediterraneo orientale.
E tutto questo agendo «a casa» dell’Eni, che in Libia con l’80% del gas e buona parte del petrolio è il maggiore fornitore di energia per tutta la Libia, compresa la Cirenaica del generale Khalifa Haftar. Quattro quinti delle esportazioni sono per ora bloccate ai terminali ma in futuro Edogan vuole avere voce in capitolo anche in Libia. Se pensiamo che Sarraj e il rivale Haftar dipendono dall’export di petrolio per pagare milizie, armi e spesa pubblica e che gran parte delle entrate sono assicurate dalle attività dell’Eni, si capisce bene che l’Italia con il memorandum d’intesa libico-turco ha ricevuto dal duo Erdogan-Sarraj un bello schiaffo.
Tra gli obiettivi di Eni c’è proprio quello di triplicare l’export di gas dalla Libia per alleggerire la dipendenza dal gas russo. Se è vero che l’Eni ha una quota fondamentale dei giacimenti egiziani a Zhor, a Cipro greca e interessi estesi in tutto il Mediterraneo, appare sempre meno probabile che queste risorse verranno convogliate con una pipeline East-West, destinata a restare sulla carta per i costi elevati e le oscillazioni nei rifornimenti ai mercati. Erdogan non ha molte chance di vincere la partita libica ma ha già ottenuto l’obiettivo di dare fastidio a tutti con un appoggio ai Fratelli Musulmani di Tripoli che va soprattutto nella direzione di rafforzare degli interessi turchi nel Mediterraneo e tenere sotto pressione Egitto, monarchie del Golfo ed europei.
Anche a Idlib, dove la Turchia sostiene con le sue truppe i jihadisti di Al Qaeda, Erdogan ha davanti un sfida assai complicata. Ma anche qui il suo scopo non è vincere ma sfruttare la sua posizione per negoziare sia Est che a Ovest. Gli americani si sono subito infilati nello scontro tra Turchia e Russia a Idlib. Sarraj ha appena incontrato l’ambasciatore americano ad Ankara e nei giorni scorsi l’inviato Usa James Jeffrey ha definito dei «martiri» i soldati turchi uccisi a Idlib nei raid aerei russi. «A Idlib stiamo con il nostro alleato nella Nato», ha detto Jeffrey. Frasi zuccherose che però non faranno cancellare ai turchi la fornitura di batterie russe anti-missile S-400.
Per Ankara, tenendo salva la «fascia di sicurezza» già acquisita nel Rojava massacrando i curdi, è più importante fare la guerriglia sul gas offshore di Cipro alla joint venture Eni-Total che strappare a Mosca e Damasco lembi, sia pure importanti, di territorio siriano. Erdogan stesso lo conferma: «Nessun progetto nel Mediterraneo che ci escluda può essere realizzato».
Nel gioco dei vasi comunicanti tra i conflitti in Siria e Libia la strategia di Erdogan è saldata a quella di Putin. L’obiettivo primario è diventare l’hub del gas russo in Europa che per Mosca si affianca alla possibilità di raddoppiare il Nord Stream 2 con la Germania, in stallo a causa delle sanzioni americane.
È la strategia definita dai russi «a ferro di cavallo». La Russia è il più grande fornitore di gas per l’Unione europea, in contrasto con la politica energetica dell’Ue che punta, insieme agli Stati Uniti, a diversificare le fonti energetiche per evitare che Mosca rappresenti un elemento decisivo. Ma è proprio questo che si avvia a diventare la Russia con la collaborazione di Erdogan. Il Turkish Stream è la dimostrazione della spregiudicatezza di Erdogan a condurre azioni diplomatiche e belliche su più tavoli: la Turchia, in alleanza con la Russia, ha posto una forte ipoteca per diventare il crocevia del gas incrinando gli obiettivi europei e quelli italiani.
Del resto è sempre più chiaro che se l’Unione non ha la forza politica per definire obiettivi comuni al suo interno, non può certo proiettarli all’esterno, come dimostrano i conflitti in Libia e in Siria. Vedremo se la nuova missione europea per far rispettare l’embargo Libia sarà davvero efficace o diventerà la solita barzelletta da raccontare agli amici al bar.
* Fonte: Alberto Negri, il manifesto[1]
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