Post Brexit. Il Regno Unito introduce il visto a punti

by Leonardo Clausi * | 20 Febbraio 2020 9:54

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Il governo Johnson annuncia la riforma dell’immigrazione. Le nuova regole in vigore dal 2021

LONDRA.«Siamo lieti di presentare il nostro nuovo sistema che, per la prima volta in decenni, permetterà al governo di riprendersi il controllo della nostra politica dell’immigrazione. Avremo un sistema globale che non discrimina tra Unione Europea e non Ue, saranno i migliori e i più brillanti a venire in Gran Bretagna». Così, ad appena dieci giorni dall’aver lasciato l’Ue, lo scorso 31 gennaio, e a circa trecento dalla fine del periodo di transizione, la ministra dell’interno Priti Patel, figlia di migranti del Gujarat arrivati dall’Uganda nel 1972, annunciava ieri la riforma governativa che ambisce a tagliare la migrazione europea nel paese del 70%. Sì perché secondo il Migration Advisory Committee, l’organismo consultivo del governo, è questa la percentuale dei 200mila europei arrivati dal 2004 che non rientrerebbe nel sistema.
Il turpe giochino di società con la vita e il futuro delle persone è una raccolta di punti: per ottenere il visto ed essere ammessi a lavorare nel Paese bisogna raggiungerne settanta. I primi venti si ottengono grazie all’individuazione di uno sponsor, un’azienda, un datore di lavoro. Altri venti grazie al disporre di adeguate competenze per quello stesso lavoro. Dieci vengono dall’inderogabile capacità di parlare l’inglese; quanto agli ultimi venti, bisogna essere in grado di bruciare il traguardo salariale di 25.600 sterline, (circa 30.700 euro), soglia invero abbassata rispetto alle 30.000 sterline proposte in precedenza dal governo May. Per i tapini che non riuscissero a raggiungere quel livello, rimanendo così fermi a cinquanta punti, “basta che” il salario ammonti ad almeno 20.480 sterline (circa 24.500 euro): potranno così accalappiare i venti punti mancanti trovando un impiego in zone dove c’è alta domanda di lavoro. Chi non rientri nemmeno in quella categoria potrà comodamente aggiudicarsi i venti punti grazie a un Phd, un dottorato in una disciplina scientifica. Tutti dovranno pagare attorno alle 1.200 sterline (oltre 1.400 euro) per un visto, o 900 per chi lavori nel settore con alta domanda.

Gli studenti saranno bene accetti, basta che sappiano “come mantenersi” e potranno restare per due anni dopo la laurea. I visti saranno richiedibili online: agli europei sarà fornito un visto elettronico, mentre le loro famiglie continueranno a dover fornire personalmente prove della propria identità come i lavoratori non Ue. E tutti gli altri? Quelli che cambiano i pannolini agli infanti e ai vegliardi, fanno flebo, costruiscono le case, puliscono gli uffici, impacchettano il cibo, rifanno le stanze, servono al banco e ai tavoli? Che si fottano. They can go to hell, come disse Cromwell degli irlandesi.

Questo mondo nuovo, tanto nuovo da impensierire perfino Aldous Huxley, comincerà alla fine del periodo di transizione, il prossimo 31 dicembre. È la fine del libero movimento, un ponte levatoio che lascerà circa 140.000 lavoratori europei fuori le mura, tutti quelli che lavorano nei ristoranti, nelle case di cura, nell’edilizia e nell’industria alimentare. Il perfetto ambiente ostile tanto caro a Theresa May, peggiore del sistema a punti australiano più volte citato a modello da Boris Johnson e che perlomeno non richiede un’offerta di lavoro già in tasca. Riuscire a fare peggio dell’Australia, un paese rinomato per il razzismo delle sue politiche migratorie e non solo, non è davvero male per “Boris”.

Molteplici e strazianti le grida di dolore dal mondo dell’impresa, soprattutto l’industria alimentare, agricola e quella dell’assistenza agli anziani, cui il governo ha risposto arrangiatevi, migliorate la vostra produttività in altre maniere. I posti lasciati vacanti saranno occupati degli otto milioni e mezzo di britannici “economicamente inattivi”: poco importa che siano soprattutto studenti, malati e pensionati. Sprezzante la stroncatura dei laburisti: «Confondono il salario con il valore del lavoro», ha detto ai microfoni della Bbc il ministro ombra dell’interno Diane Abbott, mentre la premier scozzese Nicola Sturgeon ha definito i piani del governo “devastanti” per l’economia scozzese.

Ma ora è il ferale momento di soddisfare le richieste di chi ha votato leave al referendum, con un regime evidentemente mirato a discriminare i lavoratori non qualificati. Il tempo a disposizione per questa colossale riconversione è poco più di un anno. E non è un caso che stavolta i Tories si guardino bene dal promettere di quanto intendano ridurre gli ingressi annuali nei patri confini: lo hanno fatto già in passato senza mai raggiungere le soglie dichiarate. I numeri muteranno la propria composizione ma è ragionevolmente improbabile che scendano.

Insomma, benvenuti nel paese Mira Lanza, dove solo chi raccoglie punti può farsi legittimamente sfruttare, la cui ministra dell’interno promulga una legge che avrebbe sbarrato l’accesso ai suoi genitori e che quindi ne avrebbe sventato la nascita, in cui il partito usbergo dei capitalisti sfascia l’economia come nemmeno i black bloc di Seattle si sarebbero mai sognati. Quanto alla parabola personale di Patel, sembra l’inveramento della teoria di Friedrich List ai migranti: quelli arrivati prima e arricchitisi “danno un calcio alla scala” per impedire ad altri poveri di seguirne le orme. Comunque adesso abbiamo la certezza che Karl Popper si sbagliava. Il vero nemico della società aperta è all’interno di essa, non fuori. Almeno a lui, nella Gran Bretagna di Patel e Johnson lo farebbero ri-entrare. Dopotutto era un pensatore qualificato.

* Fonte: Leonardo Clausi, il manifesto[1]

 

ph By Sinn Féin – IMG_8083, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=61346642

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