Penisola arabica. Trump rivendica l’uccisione con drone di capo al Qaeda

by Chiara Cruciati * | 8 Febbraio 2020 9:32

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Intanto in Yemen, a quasi sei anni dall’inizio dell’operazione militare saudita, si continua a morire di fame: assaltato cibo dell’Onu, ma era avariato

Qassim al-Rimi, leader di al Qaeda nella Penisola arabica (Aqap), sarebbe stato ucciso da un drone statunitense prima del generale iraniano Soleimani. Il presidente Trump ne ha però reso nota la morte solo ieri. Per esserne certo, dicono fonti Usa ad al Jazeera.

Aqap è tra le “filiali” qaediste più potenti, responsabile di numerose operazioni nel Golfo, in particolare in Yemen, dove al-Rimi (sulla cui testa pesava una taglia da 10 milioni di dollari) è stato eliminato probabilmente a dicembre.

Capace di assumere il controllo delle regioni ovest del paese sotto operazione militare saudita dal marzo 2015, Aqap ha amministrato le comunità yemenite con il beneplacito delle tribù locali e del governo ufficiale yemenita, in esilio in Arabia saudita da cinque anni, che ha usato i miliziani qaedisti per strappare la città di Aden al controllo dei ribelli sciiti Houthi.

Verrebbe da dire quasi un alleato indiretto degli Stati uniti, per interposta potenza, Riyadh, che i qaedisti li ha finanziati e utilizzati in più di uno scenario (vedi la Siria). Ma Aqap è da anni nel mirino della guerra dei droni americani, rilanciata in grande stile da Obama e poi ripresa da Trump.

Al-Rimi aveva rivendicato la sparatoria alla base navale Usa di Pensacola in Florida del 6 dicembre scorso: un cadetto saudita lì addestrato, Mohammed Alshamrani, aveva ucciso tre marinai americani.

Nelle parole spese da Trump per felicitarsi dell’eliminazione del leader qaedista c’è un riferimento anche alle «violenze senza scrupoli commesse contro i civili yemeniti». Molto simili a quelle subite per mano saudita: bombe ininterrotte ma anche fame e malattie figlie di un’operazione militare che sta per entrare nel suo sesto anno.

Quella che l’Onu ha più volte definito la peggiore crisi umanitaria del mondo non accenna ad arretrare. Tre giorni fa ad Hajjah, una delle province più colpite dall’aviazione saudita, sotto il controllo Houthi, la popolazione ha preso d’assalto un magazzino delle Nazioni unite, sperando di trovarci del cibo.

Ne hanno trovato, sì, ma avariato, dicono i presenti. Tanto da venire bruciato sotto gli occhi disperati di chi muore di fame. Diversa la versione del World Food Program: una fonte interna dell’agenzia ha detto a Middle East Eye che gli aiuti umanitari non erano stati distribuiti per evitare che finissero in mano ai ribelli Houthi.

E ieri la buona notizia del 3 febbraio è stata messa in stand by: a bordo di un aereo dell’Organizzazione mondiale della Sanità, 23 malati di tumore avrebbero dovuto essere portati da Sana’a ad Amman. Una prima, per quanto piccola, breccia nel blocco aereo imposto da Riyadh. Ma a oggi non sono ancora partiti per «motivi tecnici».

* Fonte: Chiara Cruciati, il manifesto[1]

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