Lombardia, ospedali al collasso. Per l’Oms: «Rischio molto alto»
Il commissario della protezione civile Angelo Borrelli ha annunciato quattro nuove vittime. Il totale dei morti fa 21 e le persone risultate finora positive al virus Sars-Cov-2 sono in tutto 821. Il commissario ha però specificato che non è ancora stato stabilito se le ultime vittime, un 77enne e tre ultra-ottantenni, sono morte «per» il coronavirus o «con» il coronavirus. Le persone ricoverate sono 345, 64 hanno bisogno di terapia intensiva e 46 risultano «guarite».
IL PROBLEMA PRINCIPALE ora è la tenuta del sistema sanitario lombardo. Secondo Massimo Galli, il primario dell’ospedale Sacco, gli ospedali sono «al limite della tenuta». A Lodi e Cremona i posti in terapia intensiva sono insufficienti per ospitare i casi legati al coronavirus.
Più che la malattia in sé, fa paura l’onda d’urto dei numerosi ricoveri in rianimazione soprattutto tra le persone anziane. Le strategie di contenimento ora puntano a rallentare l’onda dell’infezione pur senza arrestarla. Diluire nel tempo l’ingresso in ospedale dei casi gravi consentirebbe agli ospedali di lavorare magari al massimo della capacità, ma senza collassare con conseguenze imprevedibili.
L’organizzazione su base regionale della sanità in questa fase non aiuta. Il governo centrale fatica a raccogliere i dati dalle regioni che arrivano in tempi e modalità diverse. Ogni regione sta facendo ordinanze separate e per armonizzarle il governo ha dovuto predisporre «modelli di ordinanza» comuni. Ma basta il balletto sulla riapertura delle scuole per capire che si sta andando in ordine sparso.
Mentre rimarranno chiuse nei comuni dei focolai, i governatori di Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte stanno prendendo in considerazione l’idea di riaprirle già la prossima settimana con tempi variabili. Il commissario Angelo Borrelli si è affrettato ad annunciare per oggi o domani un nuovo decreto che «ridisegnerà le misure che sono state assunte nei giorni scorsi, dalle scuole agli esercizi pubblici nei territori regionali, in vista della scadenza delle ordinanze firmate dal ministro della sanità e dai presidenti delle regioni». Ma quando sarà terminata l’emergenza si renderà opportuno un dibattito sull’efficacia della devoluzione di materie delicate come sanità e scuola prevista dal riformato titolo V della Costituzione.
ANCHE L’AFRICA sub-sahariana ha il primo caso confermato di Covid-19. Si tratta di un consulente italiano di un cementificio di Ewekoro, nei dintorni di Lagos in Nigeria. Il paziente è ricoverato senza sintomi particolarmente gravi, secondo i media nigeriani.
Il cementificio è stato messo in quarantena e si stanno rintracciando i contatti del consulente. Che la Nigeria fosse tra i paesi africani più a rischio era stato previsto dagli studi dell’epidemiologa Vittoria Colizza e dei suoi collaboratori all’Inserm di Parigi. Colizza aveva posto l’attenzione soprattutto sulla fragilità del sistema sanitario nigeriano più che sul flusso di traffico con la Cina. E infatti il virus è arrivato dall’Italia.
Chi temeva che fossero i migranti dall’Africa a portare il contagio in Italia è servito. Dopo essere diventati i «cinesi» d’Europa, ora siamo anche quelli che «portano le malattie» al di là del Mediterraneo. Un’inversione dei ruoli che potrebbe anche rivelarsi salutare per il dibattito politico. Gli effetti però ancora non si vedono: ancora ieri il governatore veneto Zaia si è affidato alle bufale razziste raccontando di «aver visto i cinesi mangiare topi vivi».
IL VIRUS «MADE IN ITALY» è arrivato anche in Messico, Lituania, Olanda e persino nella lontanissima Islanda, tutti paesi che registrano i loro primi casi positivi al Sars-Cov-2 in persone rientrate da poco dalla Lombardia. I Paesi in cui il virus è stato registrato ora sono più di cinquanta. «I nostri epidemiologi hanno monitorato questi sviluppi e ora la valutazione del rischio di diffusione e di impatto del Covid-19 è stato innalzata a ‘molto alto’ su scala globale», ha dichiarato il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus. Secondo Tedros è ancora presto per parlare di pandemia.
«La maggior parte dei casi possono essere collegati a contatti noti o a focolai. Non abbiamo ancora evidenze che il virus si stia diffondendo liberamente nelle comunità».
TEDROS HA RICORDATO che «oltre 20 vaccini sono attualmente allo studio e diversi farmaci in fase di test. I risultati arriveranno tra poche settimane».
Ma come ha ammesso lo stesso Tedros non saranno i vaccini, ancora troppo lontani, e i farmaci di cui non si conosce l’efficacia a fermare l’epidemia. «Il contenimento inizia da ciascuno di voi», ha detto Tedros. «Il nostro nemico immediato non è il virus stesso, ma la paura, i pettegolezzi e il razzismo. E le nostre armi migliori si chiamano fatti, ragione e solidarietà».
* Fonte: Andrea Capocci, il manifesto
Foto di Paul Brennan da Pixabay
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