by Sergio Segio * | 5 Febbraio 2020 15:58
Gli scenari mondiali analizzati dal 17° Rapporto sui diritti globali, dal titolo programmatico Cambiare il sistema, realizzato dall’associazione Società INformazione e presentato alla CGIL nazionale il 4 febbraio 2020, mostrano un segno contradditorio e confliggente: da una parte, si approfondisce l’emergenza climatica, a sua volta segno evidente e – letteralmente – bruciante della profonda e trascurata crisi ambientale (si pensi che il primo Rapporto di valutazione delle migliaia di scienziati riuniti nell’Intergovernmental Panel on Climate Change è datato 1990 e che da allora le emissioni globali di CO2 sono cresciute pressoché incontrastate del 40%!); dall’altra, movimenti di protesta tornano protagonisti ai quattro angoli del mondo, coagulatisi attorno a temi e proposte di giustizia climatica o di giustizia sociale o, in alcuni casi e ancor più significativamente, di entrambe.
Stanno venendo al pettine i nodi prodotti da decenni di neo e turboliberismo, che da decenni governa i processi globali, indirizzando le sorti dei singoli paesi, dell’Europa, del mondo e dell’intero pianeta, con esiti distruttivi e iniqui. Lo dimostrano tutti i dati: dall’economia, al lavoro, al welfare, all’ambiente.
La finanziarizzazione dell’economia ha provocato la crisi globale, ancora in corso: è stata la malattia, scientemente inoculata nel complessivo corpo sociale. Ma, con diabolica e ancor più distruttiva perseveranza, si è consentito poi che assumesse anche le vesti del medico chiamato alla diagnosi e alla cura.
È il sistema della finanza globale: assai potente – anzi prepotente – e allo stesso tempo fragilissimo. Un sistema che basta un virus a mettere in difficoltà e che galleggia sulle bolle. L’ultima, che si profila minacciosa, è quella del debito delle economie emergenti, salito al record di 72mila miliardi di dollari. Il mondo è pericolosamente seduto su una montagna di debiti: quelli aggregati (dei governi, delle società finanziarie e delle famiglie) assommano a 253mila miliardi di dollari, il 322% del PIL mondiale.
Un quadro dunque di catastrofe sociale ed ambientale, divenuto intollerabile per parti crescenti di popolazione, ma anche per pezzi del sistema che quella catastrofe ha prodotta. Eloquente al riguardo la decisione (o semplice e propagandistica intenzione, si vedrà) del fondo BlackRock di non investire più in imprese fossili. Se pure davvero tirasse il freno nel contribuire al disastro ambientale, il più grande gruppo finanziario del mondo (con una dotazione di settemila miliardi di dollari, quasi un decimo dell’intero PIL mondiale) continua invece imperterrito nel promuovere la catastrofe sociale, essendo ispiratore e sponsor della riforma pensionistica voluta da Macron, che in Francia sta provocando una determinata e prolungata opposizione e resistenza da parte di lavoratori e sindacati, che hanno saputo coagulare attorno a quella lotta, a tratti assai dura e anche oggetto di pesante repressione e violenze poliziesche, un più ampio e fondamentale consenso all’interno della società e della pubblica opinione.
Diversamente, sciaguratamente e colpevolmente, quella lotta, tuttora in corso, non ha visto mobilitarsi la solidarietà internazionale, del sindacato europeo e di quello mondiale che ancora non sembrano aver adeguatamente compreso come e quanto i problemi siano comuni e globali, così come le necessarie resistenze e le possibili soluzioni. Si vince o si perde tutti assieme. E questo vale anche per l’Italia, che ha il sistema e l’età pensionabile peggiori e più iniqui d’Europa, grazie al «golpe previdenziale» della legge Fornero.
Se il green-washing è una tattica gattopardesca del capitalismo in questa fase storica, analogamente sembra, da ultimo, farsi strada anche il tentativo di dare qualche pennellata di maggiore equità al sistema di drenaggio di ricchezza dal basso verso l’alto consolidatosi in maniera vistosa e incontrastata negli ultimi trent’anni e che ha prodotto le abissali diseguaglianze tante volte documentate dalle statistiche. Anche qui ricorre la BlackRock, nel senso che un suo ex direttore generale, Morris Pearl, dopo aver dato alle stampe il libro “How To Think Like A Patriotic Millionaire – Taxes”, è divenuto presidente di un’associazione a esso ispirata: “Patriotic Millionaires”, che conta già 200 membri in 32 degli Stati Uniti d’America. Si dichiarano «orgogliosi traditori della loro classe sociale» e chiedono di pagare più tasse, dato che le politiche fiscali di Trump hanno decurtato l’aliquota dell’imposta sul reddito delle società al 21% rispetto a quella massima del 35% e favorito le multinazionali. Insomma, i beneficiari di un sistema fiscale iniquo intendono restituire una – si immagina assai piccola – parte della ricchezza che hanno potuto accumulare grazie a politiche e norme a ciò mirate (tra i ricchi la solidarietà e l’interesse di classe invece funziona sempre).
Il sistema per salvarsi diventa camaleontico. Per chi da questo sistema è storicamente oppresso, così come per le nuove generazioni, la salvezza, la vera strada maestra, il vero Green deal, passa solo attraverso una complessiva riconversione ecologica dell’economia, un ridimensionamento drastico della finanza e del suo dominio, un mutamento radicale dei paradigmi dello sviluppo, un deciso rilancio di una cultura dei beni comuni e della gestione pubblica, investimenti possenti per un diverso modello energetico e produttivo, la ricostruzione di un nuovo welfare. In una parola, conquistando, attraverso il conflitto di oggi, quel futuro e quella giustizia climatica e sociale che nelle piazze di molti paesi milioni di giovani e meno giovani stanno reclamando e costruendo.
* Fonte: Sergio Segio, Trasform! Italia[1]
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