Bolsonaro all’attacco dei territori amazzonici e delle comunità indigene

by Francesco Bilotta * | 27 Febbraio 2020 10:00

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L’assalto all’Amazzonia è ufficialmente partito. Lo strumento impiegato per condurre l’attacco è il PL 191/20, il nuovo progetto di legge firmato da Bolsonaro che ha come obiettivo lo «sviluppo» dell’Amazzonia brasiliana. Il progetto, che l’ex capitano ha definito un «sogno», autorizza nei territori indigeni la costruzione di centrali idroelettriche, attività minerarie, estrazione di petrolio e gas. Viene prevista, inoltre, la possibilità di sviluppare l’attività agricola su vasta scala con l’impiego di semi transgenici.

IL MINISTRO DELLE MINIERE e dell’energia ha consegnato personalmente al presidente della Camera Rodrigo Maia il progetto che deve essere esaminato dalle commissioni e poi votato in parlamento. L’iniziativa, secondo il governo, rappresenta il modo migliore per celebrare i primi 400 giorni della presidenza Bolsonaro.

Dopo la forsennata campagna contro le popolazioni indigene, accusate di ostacolare lo sviluppo economico del Brasile, lo smantellamento degli organi di controllo, la sospensione delle attività di demarcazione, l’incremento della deforestazione, ora viene presentato un progetto che comporta un impatto devastante sui territori e le comunità indigene.

La Costituzione del 1988 aveva individuato 1296 aree da demarcare e assegnare in usufrutto permanente ai 305 popoli indigeni. Dopo più di 30 anni solamente 436 aree sono state demarcate. Le forti resistenze dei gruppi agrari e industriali e le inadempienze dei vari governi sono alla base di questo ritardo che ha prodotto conflitti, invasioni e violenze nei confronti delle comunità.

BOLSONARO IN QUESTI GIORNI ha difeso il suo progetto, non mancando di attaccare con le solite argomentazioni volgari e sprezzanti i gruppi ambientalisti che criticano le sue iniziative. Di fronte ai suoi sostenitori sghignazzanti, dopo aver definito Greenpeace Brasil «merda e spazzatura», ha cercato di spiegare che «anche l’indio è un essere umano, ha i nostri stessi bisogni e, in fondo, è brasiliano anche lui», arrivando ad affermare che «il progetto ha lo scopo di aumentare l’autonomia e la libertà di scelta degli indigeni».

LA REALTÀ È BEN DIVERSA perché, come viene espressamente indicato, le comunità indigene non avranno il diritto di porre alcun veto sui progetti autorizzati dal Congresso sui loro territori. L’obiettivo del governo Bolsonaro è quello di abbattere il sistema di protezione voluto dalla Costituzione e, come era avvenuto durante la dittatura, costringere gli indigeni ad accettare un unico modello economico e sociale, mettendo in discussione il loro «diritto alla differenza», in una logica di assimilazione culturale. La recente nomina del pastore evangelico Ricardo Lopes Dias ai vertici della Funai (Fondazione nazionale dell’indio), con il compito di occuparsi delle 120 comunità indigene che sono in isolamento volontario, va in questa direzione.

JOENIA WAPICHIANA, prima donna indigena eletta al Congresso, dichiara: «Le attività minerarie e l’impianto delle monocolture mettono in pericolo la sopravvivenza delle popolazioni autoctone. Si tratta di un progetto inaccettabile perché i governi brasiliani non hanno mostrato alcuna capacità di far rispettare le leggi ambientali e prevenire la violazione dei diritti umani». I 600 leader indigeni che si sono riuniti nel Mato Grosso, facendo appello alla comunità internazionale, hanno sostenuto che «sarà respinta con tutte le forze questa terribile aggressione», definendo il progetto un «etnocidio» e un «ecocidio».

LE NUMEROSE ASSOCIAZIONI che hanno preso posizione (Apib, Coiab, Cimi, Greenpeace, ecc.) in un comunicato congiunto affermano: «L’apertura dei territori indigeni alle imprese nazionali e internazionali rappresenta un progetto di morte, usurpatorio, autoritario e neocolonialista che va contro gli articoli 231 e 232 della Costituzione».

* Fonte: Francesco Bilotta, il manifesto[1]

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