Africa. Le guerre del Sudan verso l’epilogo della pace
A frenare la richiesta di cancellare l’applicazione della legge islamica
C’è fermento a Juba, capitale del Sud Sudan, per i colloqui di pace tra il governo sudanese e i gruppi armati attivi nel Darfur, nel Southern Blu Nile e nei Monti Nuba. Tre situazioni completamente diverse, ma soggette a una medesima ingerenza da parte di quello che è stato fino a poco tempo fa il regime di Omar Al Bashir.
Si tratta di aree significative: il Darfur è grande come la Spagna (493.180 km²), i Monti Nuba hanno una superficie simile alla Svizzera (48mila km²). Il Southern Blue Nile copre un’area equivalente ai Monti Nuba, poco popolata ma strategicamente importante: confina con l’Etiopia ed è vicina al Nilo Blu e alla diga di Damazin.
Territori che si sono opposti al regime del Sudan e contro i quali sono state scatenate a diverse riprese guerre, con motivazioni differenti. In comune: sono aree strategiche dense di giacimenti petroliferi, seguono l’asse popolazione araba (favorita), non-araba (esclusa), ma nel Darfur è più pregnante la tensione tra pastori e agricoltori che si è intrecciata a un periodo di grande siccità insieme a una politica opportunistica dell’allora governo.
Invece nei Monti Nuba è sentita in modo forte l’applicazione della shari’a, la legge islamica. La guerra in Darfur è iniziata ufficialmente nel febbraio 2003, quella sui Monti Nuba e Southern Blue Nile risale al 1983. Tutte le violenze di questi anni sembrano avere un epilogo nei colloqui di pace di questi giorni.
Secondo Abdel Aziz Al-Hilu, generale del Sudan People’s Liberation Army SPLA-North dei Monti Nuba, «a Khartoum la situazione sta evolvendo positivamente. Ho parlato con il primo ministro e l’ho invitato a visitare i Monti Nuba». Il premier sudanese Abdalla Hamdok ha compiuto una visita storica ai Monti Nuba con i rappresentanti di Onu, Unicef e Wfp.
«Fatto inusuale – fanno notare da Juba – perché non c’è una pace firmata». C’è stato un accordo non formale che autorizza l’entrata di aiuti alimentari da Khartoum e aiuti di ogni altro genere dal Sud Sudan. Immediatamente operativo.
Ma i problemi non sono risolti. Per Abdel Aziz Al-Hilu, «non è possibile firmare un accordo di pace finché loro non accettano di togliere la shari’a come legge fondamentale dello Stato». Il governo del Sudan sarebbe favorevole, ma teme l’opposizione estremista islamica, ancora molto forte, che potrebbe fomentare un colpo di stato. Un processo che necessità di maturare in modo progressivo.
Intanto a Kauda, sui Monti Nuba, è festa: si cerca di ridare vitalità alle strutture, scuole in primis, come il vecchio Yousuf Kuwa Teachers Training Institute a cui si vorrebbero aggiungere aule e insegnanti provenienti anche da altri paesi. Un po’ di cooperazione italiana potrebbe fare la differenza.
* Fonte: Fabrizio Floris, il manifesto
ph by Steve Evans [CC BY (https://creativecommons.org/licenses/by/2.0)]
Related Articles
La Siria del nord-est stanca di aspettare: «Processeremo noi l’Isis»
L’Amministrazione autonoma porta alla sbarra per crimini contro l’umanità 10mila foreign fighters che l’Occidente finge di non vedere. Tante le questioni sul tavolo, comprese le aspirazioni politiche del confederalismo democratico
America, Ferguson tutti i giorni
Stati uniti. Selma, ieri, oggi e domani. Dopo il Wisconsin, un altro afroamericano ucciso dalla polizia
Isis, la Cia ha rifatto i conti «Oltre 30 mila i terroristi»
La strategia del Pentagono per recuperare terreno