by Andrea Capocci * | 31 Gennaio 2020 9:24
Giuseppe Ippolito, direttore dello “Spallanzani” di Roma: «I pazienti vengono curati come si faceva con le polmoniti già cento anni fa, con ossigeno e idratazione»
Per l’Organizzazione mondiale della sanità, il coronavirus ora rappresenta un’emergenza di salute pubblica di interesse internazionale. Lo ha dichiarato ieri sera il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus, specificando che «l’Oms conserva la massima fiducia nella capacità della Cina di controllare l’epidemia. La preoccupazione è rivolta piuttosto ai paesi con sistemi sanitari più deboli, che vedranno l’Oms sempre al loro fianco».
DUNQUE non viene raccomandato ai paesi di adottare le temute restrizioni ai commerci e alla circolazione delle persone, al di là delle misure già prese. Tedros ha sottolineato l’importanza della preparazione dei paesi nell’eventualità di una diffusione del virus, dell’impegno nello sviluppo di un vaccino e della condivisione delle conoscenze da parte della comunità scientifica.
La pressione sull’Oms affinché dichiarasse lo stato di emergenza negli ultimi giorni era cresciuta proporzionalmente al numero di casi di coronavirus. Ora se ne contano più di ottomila, con 171 vittime e oltre 1200 pazienti in condizioni giudicate «serie», secondo il bollettino quotidiano dell’Oms.
DOPO L’ESITAZIONE iniziale, ora il governo cinese sta mostrando un notevole decisionismo. Mercoledì, il presidente Xi Jinping ha deciso di schierare contro il virus anche l’esercito, che conta migliaia di medici militari. E ora saltano le prime teste: ieri il governo ha rimosso Tang Zhihong, direttrice dei servizi sanitari di Huanggang, una città di sei milioni di abitanti a una settantina di chilometri da Wuhan che conta finora una dozzina di vittime del coronavirus. Il suo esonero è stato deciso dopo un’intervista alla tv di stato in cui la funzionaria non ha saputo fornire il numero di persone ospedalizzate nella città.
A Wuhan, gli unici cittadini che si preparano a lasciare la città sono gli stranieri per i quali i governi hanno organizzato appositi voli per il rimpatrio. Il timore che le persone in arrivo possano importare il virus ha indotto le autorità italiane a predisporre una struttura militare per la quarantena degli italiani attesi per sabato al rientro da Wuhan grazie a un volo charter approntato per l’occasione. Si tratta di una sessantina di persone che, dopo un esame caso per caso, potrebbero essere tenuti in isolamento in una caserma alle porte di Roma. Analoga decisione per i rimpatriati statunitensi, australiani e inglesi.
PIÙ DRASTICA LA DECISIONE della Russia: nonostante non abbia avuto finora casi di coronavirus sul proprio territorio, ha scelto di chiudere 16 dei 25 posti di frontiera lungo i circa quattromila chilometri di confine che la separano dalla Cina, e di sospendere i rilasci di nuovi visti per visitatori provenienti dalla Cina.
Ieri sono stati registrati anche i primi casi in India e nelle Filippine. I Paesi coinvolti dall’epidemia salgono così a 19. Tuttavia, il numero di infezioni fuori dalla Cina è circa l’1% del totale, a dimostrazione che le misure messe in atto dal governo cinese stanno funzionando.
TRA LE BUONE NOTIZIE anche il numero crescente di persone guarite, salito a 135. Le guarigioni non sono il risultato di progressi in campo medico. «I pazienti affetti da coronavirus vengono curati come si faceva con le polmoniti già cento anni fa, ovvero con terapie di supporto: ossigeno e idratazione», racconta Giuseppe Ippolito, direttore dello “Spallanzani” di Roma e oggi in prima linea, visto che i campioni prelevati nei casi sospetti come quelli di Civitavecchia vengono inviati proprio al suo istituto per gli esami. «Lo confermano le linee guida emanate proprio ieri dall’Oms: non esistono terapie anti-virali per questo virus».
La ricerca però non è ferma. Uno studio pubblicato ieri sulla rivista The Lancet mostra che negli ospedali di Wuhan si sperimentano contro il coronavirus farmaci antivirali efficaci contro Hiv e influenza. «Questi farmaci avevano mostrato qualche efficacia durante l’epidemia di Sars, ma il focolaio si era esaurito e con esso la sperimentazione», spiega Stefano Vella, direttore del Centro per la salute globale dell’Istituto superiore di sanità. «La verità è che bisognerebbe lavorare a un vaccino universale contro i coronavirus e per l’influenza. Diversi scenari prevedono che anche l’influenza possa presentarsi in una forma mutata più aggressiva del normale. E ogni paese deve dotarsi di una strategia di cosiddetta “preparedness” contro lo scoppio imprevisto di focolai pandemici. I cambiamenti climatici stanno portando alle nostre latitudini virus come il West Nile o Chikungunya».
L’ITALIA È PREPARATA? «Direi di sì. Siamo tra i partner della rete EpiSouth, un sistema di centri-sentinella che coinvolge tutti i paesi del mediterraneo per condividere le risorse diagnostiche più avanzate e individuare tempestivamente le emergenze sanitarie».
* Fonte: Andrea Capocci, il manifesto[1]
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