Netanyahu, la lingua fuori, saltella e quasi lo lecca per gratitudine, mentre poche ore prima nei tribunali israeliani il procuratore generale lo ha accusato di corruzione e di altri delitti passibili di condanna al carcere.
Un «piano di pace israelo-palestinese»… senza i palestinesi. In tutta evidenza è un piano Trump-Netanyahu con evidenti obiettivi di politica interna per entrambi gli uomini politici. Un «piano di pace» che si fonda sul perpetuarsi e sul consolidarsi della perdurante occupazione israeliana, la quale condanna milioni di palestinesi alla miseria e all’oppressione.
IL PRESUNTO PIANO DI PACE permetterebbe al governo di Netanyahu di sancire amministrativamente l’illegale annessione di gran parte dei territori occupati. Nel 1967 le Nazioni unite adottarono la risoluzione 242 e alla luce dei principi fondamentali del diritto internazionale posero chiari limiti ai sogni di annessione che la destra fondamentalista israeliana aveva concepito, fin dai primi giorni dell’occupazione.
Dunque, gli accordi internazionali e la pressione della comunità internazionale fecero da freno, almeno relativo – molto relativo -, alla politica espansionistica israeliana.
La legalizzazione degli insediamenti e delle aree vicine alla frontiera giordana significa in pratica farla finita con il progetto di due Stati per due popoli e al tempo stesso decreterà probabilmente la fine dell’accordo di pace fra Israele e Giordania.
LA DEMAGOGIA DELIRANTE del presidente statunitense Trump e quella del suo alleato e lacchè, il premier israeliano, risaltano anche negli argomenti utilizzati a proposito di Gerusalemme, la «capitale eterna». E diventa ancora più evidente che la pace non può significare la spoliazione dei diritti e l’eliminazione della presenza palestinese dalla città e dalla regione.
L’imperialismo statunitense ha già al proprio «attivo» una lunga serie di azioni sanguinose, nel corso del XX secolo e in questi primi decenni del XXI. Milioni di persone hanno pagato con la vita la cosiddetta «esportazione della democrazia».
ADESSO NEGLI STATI UNITI i democratici all’opposizione si esprimono con durezza contro l’iniziativa di Trump, mentre gli evangelici plaudono al felice cammino verso la redenzione in Terra santa. I moderati ci consentiranno di parteciparvi, illuminati, i meno moderati ci promettono fiamme roventi così da lasciar posto al Redentore. In Israele, l’estrema destra non sarebbe disponibile ad accettare la «parte problematica» di questo accordo del secolo, perché significherebbe rinunciare a parte della terra promessa dando spazio all’«enorme pericolo» di uno Stato palestinese! La pseudo-opposizione al grande Bibi cerca di trovare le formule migliori per arrivare al trionfo il prossimo 2 marzo.
Paradossalmente, forse i palestinesi potrebbero ringraziare questo tragico passo, il quale potrebbe spingerli alle trattative per la riunificazione nazionale. L’Olp e Hamas iniziano a mandarsi segnali che potrebbero portare a un negoziato: l’unica chiave per una vera pace.
Al tempo stesso, è chiaro che la situazione è altamente esplosiva e anche fra gli israeliani – perfino negli ambienti della «sicurezza» – c’è chi capisce che il sangue potrebbe scorrere a fiumi se il governo di Netanyahu, disposto com’è a tutto pur di schivare il carcere, iniziasse a legalizzare l’annessione.
E IL PACIFISMO? Solo una fortissima pressione internazionale potrà, nei prossimi giorni, frenare il cammino delirante della destra israeliana, con un leader che teme gli arresti e la possibilità di perdere il governo. Già si aggira in questi paraggi lo spettro dell’«unità nazionale»…
Ma i pacifisti, dove sono? Quali leader occidentali saranno disposti a porre un freno al programma di Trump, la via israeliana a un nuovo, vecchio Sudafrica di apartheid e guerra in Medioriente.
Chi parla di pace senza palestinesi deve essere considerato un provocatore che intende aprire un ulteriore capitolo tragico nella storia sanguinosa di questa parte del mondo.
* Fonte:
il manifesto[1]