by il manifesto | 15 Gennaio 2020 10:40
Mentre le potenze regionali e globali si aggirano intorno alla crisi libica con il rispettivo bagaglio di interessi particolari, il dramma di centinaia di migliaia di migranti non scema. Intrappolati a Tripoli, in centri di detenzione pericolosamente vicini agli scontri (spesso colpiti, come accaduto a Tajoura la scorsa estate, 53 morti), c’è chi prova a fuggire.
E viene riportato indietro: secondo l’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim), agenzia Onu, dal primo gennaio di quest’anno la guardia costiera libica ha intercettato e ricondotto nei campi libici «almeno 953 migranti, di cui 136 donne e 85 bambini».
Una media di 68 al giorno per due settimane. Difficile quantificare quanti siano riusciti a raggiungere le coste europee, bypassando il controllo della guardia costiera a cui l’Italia ha affidato il pattugliamento di quello spicchio di Mediterraneo: almeno 23 sono annegati, i loro corpi restituiti dal mare. Nel 2019 ne erano stati riportati indietro 9mila.
«C’è stato sicuramente un aumento improvviso di partenze – spiega la portavoce Oim Safa Msehli – in parte legato alla situazione della sicurezza. Questo aumento allarma perché le attività di ricerca nel Mediterraneo sono molto limitate».
In Libia, secondo l’Oim, si contano circa 4.500 migranti nei centri ufficiali con pochissimo cibo e nessuna igiene, ma altri migliaia sono prigionieri di campi gestiti dalle milizie, sottoposti a torture e abusi. «È della massima urgenza porre fine alle detenzioni in Libia e trovare soluzioni alternative che salvino vite umane», conclude Msehli.
* Fonte: il manifesto[1]
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