Le critiche del Fondo Monetario Internazionale al «reddito di cittadinanza»

Le critiche del Fondo Monetario Internazionale al «reddito di cittadinanza»

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Per il Fondo Monetario Internazionale è “troppo alto” e per questo è un “disincentivo al lavoro”, mentre invece la platea è ancora ristretta, la misura è troppo condizionata ed esclude stranieri poveri e precari. E la navigazione è ancora incerta

In attesa della verifica di maggioranza, tra chi annuncia un «tagliando» al cosiddetto «reddito di cittadinanza» (il Pd), chi lo difende perché «non si torna indietro» (i Cinque Stelle) e chi lo vorrebbe cancellare (Italia Viva), ieri a rendere complicata la giornata dei sostenitori della misura simbolo del «workfare» all’italiana ci ha pensato il Fondo Monetario Internazionale (Fmi). Le sue valutazioni critiche non vanno intese in senso liquidatorio, ma come la prova che il reddito accumula differenti funzioni, non del tutto congruenti tra loro: un sussidio di ultima istanza, un obbligo al lavoro gratuito e alla mobilità anche su tutto il territorio nazionale, un incentivo alle imprese che assumono. Sostenendo che il sussidio è troppo alto ed è un disincentivo al lavoro, l’Fmi non aiuta a semplificare i problemi, semmai li acuisce. La critica non è nuova e rafforza il pregiudizio paternalistico contro i poveri. Il sussidio non è alto, ma riguarda ancora troppe poche persone e in più, come riconosce lo stesso Fmi, esclude gli stranieri poveri. Meno ideologica è l’osservazione per cui favorisce i single e le famiglie con pochi componenti mentre lascia fuori quelle numerose. I benefici «diminuiscono troppo rapidamente con le dimensioni della famiglia, penalizzando le famiglie più grandi e più povere.

Questo «reddito», dall’importo medio di 493 euro, è diviso tra l’aspirazione ideale verso un reddito condizionato e l’ispirazione lavorista di mettere al lavoro i poveri, anche lì dove il lavoro non c’è. Per questo si prevede la mobilità obbligatoria gestita attraverso piattaforme digitali che stentano a vedere la luce. In questa situazione – «obbligo di attivazione» è definita – potrebbero trovarsi circa 730 mila beneficiari (su 1,04 milioni) del sussidio ha spiegato il presidente dell’Inps Pasquale Tridico secondo il quale non si può parlare di fallimento della misura perché le politiche attive per il lavoro non sono iniziate. Complessa è la gestione coordinata tra l’Agenzia nazionale delle politiche attive del lavoro (Anpal) i centri per l’impiego da ristrutturare e da ripopolare, oltre ai famosi «navigator» in formazione da mesi. Ad un anno dall’entrata in vigore il gigantismo della riforma, fatta partire prima delle elezioni europee del maggio 2019, e l’intensa campagna polemica ispirata da una potente ideologia lavorista, espone il «reddito» a una navigazione ancora incerta

* Fonte: Roberto Ciccarelli,  il manifesto



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