Studenti nigeriani in Croazia per un torneo, deportati di notte dalla polizia
Partire per un torneo studentesco e ritrovarsi in un centro di accoglienza. È la storia surreale di Abia Uchenna Alexandro ed Eboh Kenneth Chinedu, due studenti nigeriani di diciotto anni arrivati in Croazia per partecipare a un torneo internazionale e ritrovatisi pochi giorni dopo in un campo profughi a Velika Kladusa, Bosnia nord-occidentale.
Tutto ha inizio quasi un mese fa, il 12 novembre, quando i due ragazzi arrivano a Pola dove si teneva il torneo. Nei video della manifestazione sportiva si vedono anche Abia ed Eboh sfilare alla cerimonia d’apertura e gareggiare con altri 2.300 ragazzi di tutto il mondo.
Calato il sipario sulla kermesse sportiva i due vanno a Zagabria dove hanno un volo di ritorno per il Lagos due giorni dopo. Ad aspettarli in aeroporto c’è la professoressa che li ha accompagnati. Ma Abia ed Eboh in aeroporto non arriveranno mai.
Il 3 dicembre il giornale bosniaco Zurnal pubblica un’intervista video ai due studenti. Sono spaesati, impauriti. Eboh racconta di essere andato a Zagabria con Abia, di aver lasciato i bagagli in ostello e di essere usciti a fare quattro passi. La polizia li ferma e li porta in questura.
I due ragazzi spiegano il motivo del loro viaggio, ma non viene fatta alcuna verifica sui passaporti e i visti regolarmente rilasciati dall’Ambasciata croata su invito dell’università di Pola. Sono costretti a salire su un furgone in piena notte con persone che non hanno mai visto prima. Lo capiscono dopo che sono migranti.
La polizia li sta portando in Bosnia-Erzegovina. Meglio, li scarica come sacchi di immondizia in un bosco nella notte. «Se non scendi, ti sparo» intima un poliziotto a Eboh davanti alle rimostranze del giovane. Eboh non vuole scendere lì, non sa nemmeno perché ce l’abbiano portato.
Ma davanti alle minacce i due seguono gli altri migranti e si ritrovano al Miral, un centro di accoglienza gestito dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) a Velika Kladusa.
Dopo due settimane la loro storia viene raccontata da Zurnal ed esplode un caso che costituirebbe una prova schiacciante di quella che ormai è divenuta una prassi per la polizia croata, respingere illegalmente i migranti senza lasciar loro la possibilità di presentare una domanda d’asilo. Per di più con l’aggravante razzista: i due studenti viaggiavano con un regolare visto, scaduto proprio il 3 dicembre.
La risposta del ministero dell’Interno croato arriva a stretto giro. I due studenti si sono registrati in ostello il 16 novembre e da lì il 18 novembre «dopo aver pagato il soggiorno e aver preso i documenti e le proprie cose, si sono allontanati verso un luogo ignoto. La polizia – recita il comunicato – non ha registrato l’uscita legale dal Paese e nessun poliziotto ha avuto a che fare con persone con quel nome e cognome». Ricostruzione che diverge non solo dal racconto di Abia ed Eboh, ma anche da quello di un loro amico che sostiene di aver recuperato i passaporti lasciati in ostello e di averglieli fatti recapitare a Velika Kladusa.
Nel comunicato si specifica che gli studenti nigeriani arrivati per il torneo erano cinque, di cui solo due hanno preso il volo di ritorno. Uno di loro è stato fermato al confine con la Slovenia e riportato in Croazia dove avrebbe poi presentato domanda d’asilo.
Una precisazione che sembra un’insinuazione, come se il vero motivo del soggiorno degli studenti nigeriani non fosse la partecipazione al torneo, come se le autorità croate non avessero alcun obbligo di esaminare una loro eventuale domanda d’asilo, ammesso che questo fosse l’obiettivo dei ragazzi.
Una cosa è certa: Abia ed Eboh volati dalla Nigeria in Croazia con un visto regolare per un torneo sportivo si trovano ora in Bosnia-Erzegovina. Nel centro per l’immigrazione di Sarajevo, per la precisione. I due studenti sono stati trasferiti qui e sono ora in attesa di essere riportati in Croazia la settimana prossima. Per Abia ed Eboh questo incubo finirà presto, per l’Europa il sonno della ragione sembra ancora lungo.
* Fonte: Alessandra Briganti, il manifesto
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