MA NON POTEVA che esserci un’alchimia dietro la magia delle 113 piazze in tutta Italia e una ventina in giro per il mondo che in un solo mese, dal 14 novembre a Bologna a ieri si sono riempite all’improvviso. Una ricetta misteriosa che ha pilotato anche ieri una marea di persone – singole, talvolta associate – a riempire piazza San Giovanni come mai negli ultimi vent’anni, le vie di accesso bloccate, via Carlo Felice zeppa fino a Santa Croce, via Emanuele Filiberto completamente intasata di sardine stipate. Era la prova del nove, quella della Capitale, non una manifestazione nazionale (ieri altre nove città sono scese in piazza) ma qualcosa del genere. È andata oltre le migliori aspettative, i politici di centrosinistra si sono tenuti alla larga – segnalato fra la folla solo un ex, Nichi Vendola, e qualche sparso dirigente del Pd – ma poi si sono affrettati a dichiarare la loro vicinanza.
MATTIA SUL PALCO è emozionato ma sciolto come uno della sua generazione senza complessi, guarda l’orizzonte e scherza: «Ma anche quelli laggiù in fondo alla via sono dei nostri?». Eccolo il segreto del movimento accusato di non avere contenuti e che però ha preso di peso le persone e le ha riportare in piazza: «La politica è partecipazione. Noi qui oggi stiamo facendo politica» dice, «Siamo a 113 piazze. Piazze che hanno preso la forma della politica». E a chi chiede «e quindi?», «e ora?» la risposta non è che nascerà un partito («al 99 per cento siamo per il no») ma che «abbiamo deciso di dire la verità, qui ci sono persone, che ragionano e chi ragiona non abbocca».
DUNQUE LE SARDINE erano solo un trucco, una scusa per dimostrare che «esistono persone che resistono e cervelli che valgono più di un milione di like». Il leader leghista è il bersaglio, ma il vero nemico è un altro, «il pensiero facile», ovvero il populismo e l’antipolitica (persino l’antipartitismo) tant’è che Mattia anziché uno slogan furbetto fa un ragionamento: «Vogliamo arrivare alle persone attirate dalla sirena del sovranismo per dire che c’è una alternativa. Cerchiamo di essere un corpo intermedio che collega la cittadinanza attiva alla politica».
E proprio i corpi intermedi sono stati il bersaglio del populismo, e non solo di destra (i teorici della disintermediazione sono anche nel campo democratico). La formula magica dunque che ha trasformato degli attivisti entusiasti e disorganizzati in un formidabile moltiplicatore di partecipazione sta tutta qui. Le proposte – i famosi ’contenuti’ – ci sono ma alla fine non sono il messaggio principale. Certo, Santori elenca sei punti: «Pretendiamo che chi è stato eletto vada nelle sedi istituzionali a fare politica invece che campagna elettorale permanentemente». E ancora: «Chi ricopre la carica di ministro comunichi solo sui canali istituzionali.
E poi trasparenza sull’uso politico dei social network. Che la violenza verbale sia equiparata a quella fisica. Che sia riscritto il decreto sicurezza». Dice «riscritto» finché da sotto il palco parte il coro delle «sardine nere», migranti organizzati che chiedono e ottengono di parlare di «abrogazione». Alla fine saliranno sul palco a chiedere cittadinanza, diritti e fine dello sfruttamento, vengono da Napoli ma fra loro c’è Loredana Longo, coordinatrice di Potere al popolo scontenta di una piazza troppo «light».
MA NON È AFFATTO light il saluto di Carla Nespolo, presidente dell’Associazione partigiani, la prima a salire sul palco, «a una piazza antifascista piena di speranza e lotta» contro l’odio e l’indifferenza (invita a regalare a Natale il libro di Gramsci), né quello di Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa oggi europarlamentare del Pd, ed è durissimo anche il discorso di Giorgia Linardi, dell’equipaggio della Sea Watch, nave della Ong sequestrata che aspetta di tornare in mare a salvare vite, e quello di Luce contro la transfobia.
Dal tir-palco si vede un banco sterminato di sardine, un mare, e dire che è piazzato in un angolo della piazza come nessun partito farebbe. Alla fine ci salgono tutti gli organizzatori, una ventina di ragazzi e ragazze con poca o niente esperienza politica. È bastato così poco, ma la verità è che non è poco per niente. Oggi la riunione di un improvvisato coordinamento nazionale, «Per noi da domani inizia una seconda fase, torneremo sui territori dove ci aspetta un grande lavoro. L’Emilia Romagna sarà un laboratorio, dal 27 gennaio parte la terza fase».
* Fonte: Daniela Preziosi, il manifesto[1]