by Alessandra Briganti * | 28 Dicembre 2019 16:34
Una nuova scossa torna ad agitare i Balcani. Epicentro del terremoto, Podgorica dove ieri all’alba è stata approvata la legge sulla libertà religiosa al termine di una tumultuosa sessione parlamentare culminata con l’arresto di 22 persone tra cui 18 deputati contrari alla legge.
Il provvedimento è in larga parte sostenuto dalla commissione di Venezia, organo consultivo del Consiglio d’Europa, ma già nei mesi scorsi la Chiesa ortodossa aveva sollevato delle critiche in merito alle norme sulla proprietà dei beni e dei terreni ecclesiastici. L’accusa mossa dalla Chiesa nei confronti del governo è che in realtà con questo provvedimento si vogliano espropriare i circa seicento luoghi di culto. Con la nuova legge infatti il Clero dovrà attestare di essere proprietario di chiese e monasteri, e di esserlo da un periodo antecedente al 1918, prima cioè che il Regno del Montenegro venisse inglobato nel Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, e che la Chiesa ortodossa montenegrina si sciogliesse nel Patriarcato serbo.
La Chiesa ortodossa guidata dal metropolita e vescovo di Cetinje Amfilohije Radovic, ha organizzato diverse proteste nei giorni scorsi in tutto il Paese e in particolare nella capitale dove i fedeli si sono riuniti davanti al Parlamento in concomitanza con il dibattito in aula e hanno pregato tutta la notte per scongiurare l’approvazione della legge.
Decisamente più ostile il clima all’interno del Parlamento. Il leader filoserbo del Fronte democratico Andrija Mandic si è detto «pronto a morire» per la sua Chiesa, spingendosi a invitare «gli amici di guerra dal 1991 al 1999 a essere pronti». Minacce sfociate in un’aggressione fisica vera e propria ai danni del presidente dell’Assemblea e che gli è valsa l’arresto insieme ad altri 17 deputati. Dopo l’intervento della polizia si è proceduto alla votazione: respinti i circa duecento emendamenti presentati dall’opposizione, la legge è stata approvata senza modifiche.
Una legge che potremmo definire un effetto collaterale dell’indipendenza della Chiesa ortodossa ucraina dal Patriarcato di Mosca avvenuta nell’ottobre dello scorso anno, il cui riconoscimento da parte di Costantinopoli ha rinfocolato conflitti latenti tra le diverse comunità religiose in cui si articola la Chiesa ortodossa.
La mossa di Podgorica può infatti esser letta come un tentativo di creare una chiesa ortodossa montenegrina autocefala, indipendente dal patriarcato serbo, o quantomeno di spezzare il monopolio religioso della Chiesa serbo ortodossa in un Paese come il Montenegro che conta 450mila fedeli ortodossi su poco più di 600mila abitanti. Una svolta quella di Podgorica che costituisce un’ulteriore fonte di destabilizzazione nella regione. Basta guardare infatti alle reazioni all’approvazione della legge fuori dai confini del Montenegro.
Momenti di tensione si sono registrati nel Parlamento della Republika Srpska, una delle due entità di cui è composta la Bosnia-Erzegovina, e nella sede dell’Assemblea nazionale serba a Belgrado dove la presidente Maja Gojkovic è stata costretta a sospendere la seduta per quello che ha definito «un attacco fascista al Parlamento serbo». Il deputato nazionalista Bosko Obradovic e leader del partito di estrema destra Dveri non ha perso tempo per strumentalizzare la questione protestando contro la mancata risposta del governo serbo alla legge approvata in Montenegro. In mattinata lo stesso Obradovic aveva espresso il suo dissenso imbrattando le mura dell’Ambasciata montenegrina a Belgrado con la scritta: «Milo (Djukanovic) ladro, non vi daremo i luoghi sacri». Più moderato il commento del presidente serbo Aleksandar Vucic, affidato all’agenzia di stampa Tanjug in cui ha promesso di aiutare «il nostro popolo e la Chiesa, senza distruggere i diritti di un altro Paese». Una precisazione pilatesca che la dice lunga sulla posizione sempre più precaria della Chiesa ortodossa nello Stato.
* Fonte:
il manifesto[1]
ph: The President of Montenegro, Milo Đukanović, © European Union 2018 – European Parliament”.
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