by Anna Maria Merlo * | 4 Dicembre 2019 10:35
L’economia e gli scontri commerciali come antipasto indigesto di un già problematico vertice Nato, l’alleanza militare che celebra nel nervosismo i suoi 70 anni a Londra. Ieri, un primo bilaterale, molto teso, ha avuto luogo tra Donald Trump e Emmanuel Macron, prima di un incontro a quattro a Downing Street, tra Gran Bretagna, Germania, Francia e Turchia, su iniziativa francese, per chiarire i conflitti causati da Ankara con l’intervento in Siria e l’aggressione agli alleati curdi (preceduto da insulti di Erdogan verso Macron, a cui ha fatto seguito all’inizio della settimana la convocazione al Quai d’Orsay dell’ambasciatore turco a Parigi).
TRUMP HA DI NUOVO ESTRATTO la sua arma preferita: imporre (o minacciare) tasse doganali sui prodotti di importazione negli Usa per combattere i concorrenti. Ieri, nel mirino c’era una serie di prodotti di Francia e Italia, i due paesi sono considerati rei di avere imposto una tassa Gafa (Google, Apple, Facebook, Amazon), un’imposizione nazionale sulle multinazionali digitali (3% sul giro d’affari), in attesa che venga conclusa la trattativa in corso all’Ocse, per decidere una tassa a livello mondiale, che lotti contro l’ottimizzazione fiscale di queste grandi imprese. In via preventiva, Trump ha dichiarato di voler «punire Macron», che è stato «molto molto cattivo» per aver dichiarato che la Nato «è in stato di morte celebrale». Per «punirlo» ha scelto di incrociare Nato e commercio, minacciando formaggi tipo roquefort, yogurt, vino frizzante, cosmetici e borsette made in France di diritti doganali anche al 100% (per merci di un valore di 2,4 miliardi di dollari), per contrapporsi alla tassa francese Gafa, giudicata già quest’estate «molto antiamericana».
Al vertice del G7 di Biarritz, quest’estate, Macron era riuscito a evitare in extremis che partissero i dazi sul vino francese (i produttori di Bordeaux avevano spedito qualche bottiglia a Trump). Macron aveva promesso che la tassa Gafa sarebbe stato solo temporanea, in attesa di un accordo Ocse, e che la Francia avrebbe restituito alle società Usa l’eventuale differenza. L’accordo di Biarritz è scaduto qualche giorno fa.
MA ADESSO LA TENSIONE è tornata al colmo. Il ministro delle Finanze, Bruno Le Maire, ha giudicato «inaccettabile» la minaccia statunitense, «non è un comportamento che ci aspettiamo dagli Usa, verso uno dei principali alleati, la Francia, e in maniera generale verso l’Europa». Le Maire ha proseguito: «il mio messaggio è chiaro: non abbandoneremo mai mai e poi mai questa volontà giusta di tassare i giganti digitali».
La Francia e l’Europa si interrogano: gli Usa, dopo aver spinto per trovare una soluzione in sede Ocse, adesso sembrano aver cambiato idea. Il Senato Usa, infatti, ha approvato a luglio il progetto di una tassa mondiale definita in sede Ocse, in modo da poter ripartire in modo equo i suoi proventi, tra paesi sede sociale delle società e paesi dove i profitti vengono realizzati. La Ue spera nell’Ocse (l’organismo è stato incaricato dal G20 di proporre una soluzione), anche perché al suo interno non è riuscita a trovare un accordo per una tassa europea: i paesi sede sociale dei giganti (Usa) del digitale, Irlanda in testa, si sono opposti, per non perdere i vantaggi della defiscalizzazione.
LA TIMIDEZZA ITALIANA di queste ore la dice lunga sulla poca compattezza del fronte Ue in questa battaglia epocale, anche se ieri la Commissione ha affermato che aprirà «immediate discussioni» con gli Usa per «risolvere amichevolmente» lo scontro. La Ue teme che i dazi si abbattano presto su Airbus, accusato dalla Wto di avere «aiuti pubblici». Trump ha tassato le importazioni di acciaio e alluminio, rispettivamente al 25% e al 10%, per colpire la Cina, ma pochi giorni fa ha annullato l’esonero che era stata concesso a Argentina e Brasile.
Il protezionismo Usa, arma di guerra commerciale contro la Cina, rischia di schiacciare come vittima collaterale la Ue. La guerra commerciale al vertice Nato di Londra si sta intrecciando con le tensioni all’interno dell’Alleanza, dove Washington pretende che gli europei arrivino a spendere il 2% del pil nel settore militare. La Francia è l’unico paese che ci arriverà nel 2025 (la Germania non prima del 2030).
* Fonte: Anna Maria Merlo, il manifesto[1]
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