Diritti umani in Cile: il Congresso sanziona l’ex ministro dell’Interno ma salva Piñera

by Claudia Fanti * | 15 Dicembre 2019 10:09

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Sacrificare l’alfiere per salvare il re. È stata questa, secondo l’analisi dei movimenti popolari, la strategia messa a punto dalla classe politica cilena in difesa dello status quo. Così, chiamato a votare l’11 dicembre l’accusa costituzionale contro l’ex ministro dell’Interno Andrés Chadwick e, il giorno dopo, quella contro il presidente Sebastián Piñera, il Congresso ha approvato la prima e dichiarato inammissibile la seconda.

Non si è trattato, per la maggioranza, di un sacrificio indolore: il riconoscimento da parte del Senato, con 23 voti a favore e 18 contro, della responsabilità di Chadwick nelle violazioni dei diritti umani commesse dalle forze dell’ordine dall’inizio della rivolta popolare del 18 ottobre – con conseguente interdizione dai pubblici uffici per 5 anni – è stato contestato aspramente dal governo, i cui ministri hanno espresso pubblicamente il loro appoggio all’ex collega attraverso l’hashtag #EstoyConChadwick.

Ma i cartelli con i disegni di occhi sanguinanti che hanno riempito le strade di Santiago il 10 dicembre, durante la giornata mondiale dei diritti umani, e che poi sono entrati fin dentro al Parlamento per denunciare, tra molto altro, gli oltre 350 casi di lesioni oculari provocate dai proiettili di gomma sparati dalle forze di sicurezza, erano lì a indicare nella maniera più chiara la necessità che un colpevole venisse individuato.

Meglio allora far ricadere la responsabilità – peraltro innegabile – sull’alfiere, punendolo comunque solo con l’allontanamento temporaneo da ogni carica pubblica, e non certo con il carcere, come pure avrebbe meritato. Quanto a Piñera, certamente responsabile, in quanto presidente, ancor più di quanto lo fosse il suo ministro, la Camera dei deputati ha respinto, per 79 voti contro 73, la possibilità stessa di discutere il merito dell’accusa costituzionale.

E a salvarlo, votando insieme alla destra, sono stati anche alcuni deputati della Democracia cristiana e del Partido Radical, due forze dell’ex Concertación. Che l’accusa costituzionale – la prima presentata contro un presidente in oltre 60 anni – non avesse alcuna chance di venire approvata, i manifestanti lo avevano del resto segnalato più volte, parlando di una farsa. Non a caso, il deputato indipendente Pepe Auth così aveva commentato l’iniziativa degli 11 parlamentari dell’opposizione: «Francamente sarebbe la prima interruzione di un mandato dal golpe del 1973». Come se un’accusa come quella presentata contro Piñera fosse paragonabile a un colpo di stato.

* Fonte: Claudia Fanti, il manifesto[1]

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