Cile. Le opposizioni votano con Piñera per legge anti-proteste

by Claudia Fanti * | 7 Dicembre 2019 10:21

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Rivolte popolari. Modificato il codice penale, fino a cinque anni di carcere per una barricata. In discussione il provvedimento anti-incappucciati

Tornare alla normalità, all’«oasi felice» che era il Cile prima che orde di vandali mettessero a ferro e fuoco il paese con pretese insostenibili: è questa la parola d’ordine del presidente Sebastián Piñera, del sistema politico, delle élite economiche eredi del regime di Pinochet.

Ed è con quest’unico obiettivo che il governo, tra una repressione e l’altra, ha provato a blandire i manifestanti prima con un pacchetto di misure sociali, poi con varie proposte di dialogo e infine addirittura con un plebiscito su una nuova Costituzione.

Ma né le briciole offerte dal governo né la truffa di una Convenzione costituente blindata dalla classe politica hanno sortito alcun effetto. Ed è così che, fallita l’opera di persuasione, non è rimasta al governo altra scelta che spingere ulteriormente sul pedale della dissuasione, ricevendo su questa strada un insperato – e suicida – aiuto dall’ex Nueva Mayoría (già ex Concertación, la coalizione di centro-sinistra che ha governato a lungo il paese) e persino da una parte considerevole del Frente Amplio.

È infatti anche con i loro voti – e con la sconcertante astensione della maggioranza del Partido Comunista – che è passata, prima alla Camera dei deputati (127 voti a favore, sette contro e 13 astensioni) e poi al Senato (33 voti a favore, due contro e due astensioni) la cosiddetta legge anti-barricate.

Un provvedimento che modifica il codice penale inasprendo le pene (da un minimo di 541 giorni a un massimo di cinque anni) per i responsabili di interruzioni di pubblico servizio (compresi gli scioperi nel settore della salute o in quello dei trasporti) e per quanti lanceranno oggetti contundenti, promuoveranno occupazioni di immobili di carattere industriale, commerciale o agricolo, provocheranno danni a beni pubblici o privati e impediranno la libera circolazione di persone o veicoli.

Con la precisazione che «si applicherà sempre il grado massimo della pena», cinque anni di carcere, a chi opererà all’interno di «un gruppo o un’organizzazione di due o più persone che commettano abitualmente i fatti punibili menzionati».

Un provvedimento, insomma, contro il diritto alla protesta sociale, che criminalizza uno dei principali strumenti di lotta utilizzati dall’inizio della rivolta popolare, il 18 ottobre scorso: quello delle barricate e dei blocchi stradali. E che, oltretutto, si affianca ad altri analoghi progetti di legge, ancora in discussione al Senato, come la cosiddetta legge «anti-incappucciati», diretta a punire con maggior rigore quanti compiano azioni di disturbo della quiete pubblica con il volto coperto (la ragione per cui tanti manifestanti hanno cominciato, per protesta, a scendere in strada con le maschere più fantasiose).

O come il progetto di legge sulla presenza di militari a guardia della «infrastruttura critica» che fa rientrare dalla finestra, per quanto in versione più soft, lo stato d’emergenza uscito dalla porta a causa del clamore popolare.

Tutti provvedimenti, questi, rispetto a cui l’opposizione, mai così tanto screditata, non sembra disposta a fare neanche metaforiche barricate, provocando così l’indignazione delle forze popolari decise a scendere subito in strada per non farsi rubare, dopo tutto il resto, anche il diritto a mobilitarsi.

A denunciare la «misura scandalosa di criminalizzazione della protesta sociale», una vera «legge anti-scioperi», ha parlato, per esempio, il giovane dirigente del Partido de Trabajadores Revolucionarios Dauno Tótoro, aggiungendo: «La maggioranza del Frente Amplio ha votato a favore, ballando al ritmo della destra e dei suoi metodi repressivi».

* Fonte: Claudia Fanti, il manifesto[1]

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