Anche in carcere c’è sindacato e sindacato. Intervista a Salvatore Tinto

by Massimo Congiu | 8 Dicembre 2019 18:25

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Insieme a Salvatore Tinto, della segreteria Regionale Campania e Metropolitana della CGIL di Napoli, con deleghe al comparto delle Funzioni locali e della Polizia Penitenziaria, abbiamo provato ad aprire una finestra sulla realtà carceraria dal punto di vista degli agenti di polizia penitenziaria.

Facciamo il punto sulla situazione lavorativa di questa categoria di agenti.

È una categoria di lavoratori in piena sofferenza nel cui caso esistono, come in tutto il pubblico impiego, problemi di addetti in età avanzata e di sottorganico che certe volte risulta insostenibile perché costringe gli agenti della Polizia Penitenziaria a fare dei turni massacranti, a lavorare anche continuativamente per 12 ore al giorno contro le regole vigenti in materia. Quindi capita che per garantire il servizio, queste persone tornino a casa in condizioni pietose dal punto di vista dello stress e della stanchezza fisica. Qualche dato potrà aiutare a capire la situazione: a Poggioreale ci sono 761 agenti di Polizia Penitenziaria allorché dovrebbero essere 991 in una struttura che ospita circa 500 detenuti in più rispetto alla sua capienza; nel carcere di Secondigliano ci sono 1.145 agenti; il penitenziario potrebbe ospitare al massimo 1.020 detenuti, invece ce ne sono 1.410. Quindi c’è un’eccedenza pari a circa 400 unità, mentre nel carcere di Pozzuoli mancano gli ispettori.

Come reagiscono i poliziotti penitenziari a questa situazione disagevole?

Spesso lo stato di ansia in cui si trovano questi lavoratori sfocia nella depressione, ed in effetti dalle statistiche apprendiamo che all’interno della Polizia Penitenziaria c’è un elevato tasso di suicidi. Quando mi hanno fatto rilevare questo dato sono rimasto sconvolto. In generale il fenomeno è frequente tra le forze di polizia, tra i carabinieri e i poliziotti municipali, ma nel caso della Polizia Penitenziaria l’incidenza è maggiore; parliamo di livelli allarmanti. Niente nasce per caso, quindi ci devono essere per forza delle ragioni che sovente inducono gli agenti di custodia a commettere questo gesto estremo, e credo che queste motivazioni siano legate proprio al lavoro, al di là delle vicende personali e familiari che ognuno ha.

Più nel dettaglio?

Consideriamo i turni massacranti, i lunghi orari di lavoro e l’ambiente che è pesante di per sé. In più, nelle carceri non c’è assistenza psicologica, manca personale di sostegno psicologico e sociale anche se è previsto sia per i detenuti che per gli agenti. Sembra quasi che anche gli appartenenti al corpo debbano scontare una pena, mentre invece svolgono un lavoro nel migliore dei modi malgrado le enormi criticità esistenti. Sul tema dei suicidi tra gli agenti di custodia cerchiamo di interessare i media, prevediamo anche di organizzare un convegno a Napoli per l’inizio dell’anno prossimo, al fine di denunciare il fenomeno con statistiche precise a livello nazionale. La speranza è che qualcosa si muova.

E qual è la situazione in termini salariali?

Gli stipendi sono miserevoli in tutto il pubblico impiego, ma questa situazione assume una valenza ancora più impressionante nel caso delle forze di Polizia Penitenziaria. Gli agenti prendono mediamente 1.600-1.700 euro al mese per un lavoro che in altri paesi europei viene remunerato con cifre che superano i 2.000 euro. Gli straordinari non vengono remunerati regolarmente, ma con ritardi di mesi e talvolta anche di qualche anno; però chi vive in una famiglia monoreddito ed è in una situazione di bisogno si sacrifica lavorando più del dovuto.

C’è quindi necessità di arrotondare…

Sì, e se accetto di fare 40-50 ore di straordinario andando oltre il normale orario di lavoro per arrotondare, non mi pongo il problema dell’ansia e del sacrificio che devo sostenere; penso solo che mi servono quei 200 euro in più al mese per integrare il mio stipendio miserevole. Si tratta di una situazione pesante anche perché molto spesso i colleghi della polizia penitenziaria non si ribellano e sopportano questi orari massacranti per arrivare a racimolare uno stipendio dignitoso e riuscire a sbarcare il lunario a fine mese.

Come ovviare a questi problemi?

Lo Stato deve investire in strumenti, personale, dotazioni di sicurezza. Capita non di rado che si legga: trovata droga a Poggioreale o a Secondigliano o telefoni cellulari usati dai detenuti, ma come entrano in carcere la droga e i telefonini? I controlli dei pacchi, anche quelli spediti dai familiari, sono quasi sempre fatti a mano con grande lentezza, non c’è uno scanner, non ci sono abbastanza metal detector efficienti, non ci sono mezzi che garantiscano condizioni di sicurezza in un penitenziario per i casi prima menzionati. La situazione è esplosiva, nelle carceri la sicurezza è una meteora, il personale è al collasso. Penso poi agli agenti di Polizia Penitenziaria che tornano nella loro città dopo aver fatto per 20-25 anni il giro degli istituti penitenziari italiani e vogliono riavvicinarsi alla famiglia. Spesso tornano a casa in età non più giovanile e vanno a lavorare in carceri sovraffollate senza alcuna assistenza, senza supporti di nessun tipo. Inoltre non di rado capita che gli istituti siano a corto di dotazioni anche in termini di indumenti che e sovente, sia lo stesso personale a dover comprare scarpe e vestiario con i suoi soldi. È tutto molto sconfortante e lo Stato deve decidere se far funzionare le cose o meno; vuole un regime carcerario aperto? Allora ci vogliono investimenti, diversamente si resta in una situazione di stallo.

Cosa può dirci in merito alla tutela sindacale dei poliziotti penitenziari?

Spesso c’è una certa reticenza, da parte degli istituti di pena, a confrontarsi con il sindacato. Non è il caso di Secondigliano, ma a Poggioreale, per esempio, le relazioni sindacali sono ferme all’anno zero. In altre parole, nel principale carcere napoletano non si verificano incontri col sindacato da un anno e mezzo. Malgrado tutta una serie di sollecitazioni da parte nostra e di altre organizzazioni sindacali, non si è mai attivato realmente un tavolo di confronto anche perché esistono sindacati di comodo nel panorama delle organizzazioni autonome che agiscono con la logica del gioco a rimpiattino e praticano la tecnica del rinvio premeditato. Anche a essi si deve la situazione di stallo nel rapporto con le parti sindacali, quelle che fanno davvero gli interessi dei lavoratori. Faccio un esempio: c’è uno scambio tra uno di questi sindacati di comodo e la parte pubblica che dice: chiedetemi un rinvio, così ho un pretesto per non convocarvi; il sindacato di comodo risponde: però mi raccomando, il tale me lo devi trasferire lì, quell’altro mi deve fare un certo tipo di servizio. Quindi c’è un patto tacito ufficioso; una mano lava l’altra.

Quali sono in genere i rapporti tra il personale della Polizia Penitenziaria e detenuti? Si parla spesso di situazioni di conflitto, di violenze…

C’è caso e caso, non si può generalizzare. Tieni conto che vedo in grossa difficoltà psicologica il personale che versa in uno stato di vulnerabilità. Non di rado succede, a livello nazionale, che i detenuti aggrediscano in modo gratuito i poliziotti penitenziari che sovente finiscono al pronto soccorso e devono ricorrere a cure mediche a seguito di queste aggressioni. Non ci sono controlli rigidi. Spesso, come ho già detto, finiscono in carcere partite di droga per uso personale o si creano traffici di questo genere nei penitenziari tra i detenuti. Capita che quando questi ultimi sono sotto l’effetto di stupefacenti perdano il controllo e diventino aggressivi, e questo mette a repentaglio non solo la sicurezza del personale ma anche quella degli altri carcerati. Allora il problema si deve affrontare alla radice. Non è possibile che entrino in carcere droga o altro. Occorre dotare le carceri di strumenti di sicurezza e di controllo come in tutti i paesi civili europei.

 

Foto dalla pagina Facebook di Salvatore Tinto

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