Spagna. Anche dopo il voto sempre difficile formare un governo

by Luca Tancredi Barone * | 12 Novembre 2019 10:14

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I numeri usciti dalle urne spagnole domenica mandano un messaggio forte e chiaro al leader socialista Pedro Sánchez: per evitare di peggiorare ancora la situazione, Ahora sì (adesso sì), proprio come dice il suo slogan elettorale. Come ampiamente prevedibile, la ripetizione elettorale non ha portato una maggiore chiarezza nel panorama politico, né un rafforzamento dell’egemonia socialista. Ha rafforzato le posizioni più estreme, i fascisti di Vox, che diventano terzo partito, e i partiti nazionalisti e indipendentisti che aumentano sia la propria rappresentanza parlamentare, sia la percentuale dei voti. Indebolito sia il Psoe che Unidas Podemos, rafforzati i popolari. Ciudadanos, che doveva essere il secondo forno socialista, e che ad aprile avrebbe potuto siglare un accordo con il Psoe con una solida maggioranza, scompare dalla mappa. Ma la situazione politica è assai più complicata di sei mesi fa. E c’è già la prima vittima: il presidente di Ciudadanos Albert Rivera si è dimesso ieri mattina, in attesa del congresso, e ha abbandonato la politica. Il partito potrebbe passare nelle mani di Inés Arrimadas, sua numero due. Sarebbe la prima donna a capo di un partito nazionale in Spagna.

SE GUARDIAMO AI RISULTATI GENERALI, in realtà, gli equilibri non sono molto diversi rispetto a quelli usciti dalle elezioni del 28 aprile scorso (al netto di un leggero calo – molto minore del previsto – dell’affluenza, al 69,87%, circa 6 punti in meno di 6 mesi fa): la sinistra ha più voti più della destra (50% contro 48%) e una decina di seggi in più, anche se non tutti i partiti di sinistra necessariamente appoggerebbero Sánchez, come per esempio la Cup, e non tutti quelli di destra lo ostacolerebbero, come i nazionalisti baschi del Pnv che ieri mattina già chiedevano di mettere un cordone sanitario intorno a Vox. Ma la ripartizione dei seggi rende le cose assai più complicate.

I numeri parlano chiaro, e trasformano il nuovo congresso spagnolo in un rompicapo inedito (mai tanti partiti hanno ottenuto rappresentazione parlamentare): il primo partito è ancora una volta il Psoe, che però passa da 123 seggi (su un totale di 350) a 120, e dal 29 al 28%. Il Pp guadagna seggi, passando da 66 a 88 seggi (dal 17 al 21%). I fascisti di Vox sbancano con 52 seggi – e ne avevano solo 24 ad aprile. In percentuale passano solo dal 10 al 15%, ma è un effetto del sistema elettorale spagnolo, disegnato per un panorama politico molto più semplice e che elegge più di un terzo dei deputati in circoscrizioni molto piccole, dove contano soprattutto i primi tre partiti, e per gli altri diventa molto più complicato che i voti si trasformino in seggi. Al quarto posto si mantiene Unidas Podemos coi suoi alleati, ma perde, per la terza volta consecutiva, seggi: si ferma a 35 (ne aveva 42 ad aprile), passando dal 14 al 13%. Al quinto posto, guadagnando una posizione, troviamo Esquerra republicana de Catalunya, il cui leader Oriol Junqueras è in carcere: Erc è ancora primo partito in Catalogna, e ottiene 13 seggi (ad aprile ne aveva 15, un record). Solo in quinta posizione Ciudadanos, ormai un partito irrilevante a livello nazionale: passa da ben 57 seggi a 10 (dal 16% a meno del 7), un crollo in piena regola. Con 8 seggi (erano 7) poi c’è Junts per Cat, il partito indipendentista che esprime il presidente del governo catalano Quim Torra e l’ex presidente Carles Puigdemont. Seguono a ruota i nazionalisti baschi (7 seggi, anche loro ne guadagnano uno) del Pnv, gli eredi politici dell’Eta di Eh Bildu (5 seggi, anche loro +1) e poi l’altro partito su cui erano puntati i riflettori: Más País, dell’ex numero due di Podemos, Íñigo Errejón. Entrano con tre seggi (ma uno era già in parlamento con Compromís, un partito valenziano ex alleato di Podemos). Paradossalmente, Unidas Podemos e Más País assieme hanno 35mila voti più di Vox e, assieme, 14 seggi meno.

L’ALTRA NEW ENTRY È LA CUP, il movimento assemblearista catalano indipendentista. Per la prima volta si sono candidati per il Congresso ed entrano con 2 deputati. In totale, i partiti indipendentisti guadagnano un seggio. Altri deputati sono quello del Bng (nazionalisti galiziani di sinistra), che ritorna in parlamento con un seggio, e una serie di piccoli partiti locali. Nota a margine: scende la rappresentanza femminile. Ad aprile la Spagna era il paese con più parlamentari donne in Europa (47,4% dei seggi), oggi sono al 43,4%, soprattutto per l’altissima percentuale di uomini eletta da Vox (solo il 27% di donne).
Le cose si complicano anche al Senato, la camera alta spagnola che ha solo un potere consultivo sulle leggi, ma che ha competenza su alcune questioni chiave come approvare il tetto di spesa del governo, applicare l’articolo 155 della Costituzione (per sospendere un governo regionale come quello catalano), o la nomina dei vertici del potere giudiziario. Anche qui per l’effetto di una legge elettorale particolarmente distorcente, i socialisti che avevano ottenuto per la prima volta in 30 anni la maggioranza assoluta, ora si fermano a 92 (su 208 eleggibili, gli altri li nominano le regioni), Pp 84, Erc 11, Pnv 9 (questi ultimi due, con gli stessi numeri di aprile), e il resto a partiti minori.

SI PROFILANO DUNQUE DUE SCENARI POSSIBILI. Il primo, il più semplice: una Grosse Koalition Psoe-Pp (il leader popolare si è già aperto a questa opzione), ma non è chiaro che convenga né al Pp (alla cui destra ha un potentissimo Vox che glielo rinfaccerebbe), né sembra per ora interessi ai socialisti (ieri il portavoce e ministro Ábalos l’ha esplicitamente scartata a favore di «un governo progressista»). Oppure il duro cammino che passa per un accordo con Unidas Podemos (domenica Pablo Iglesias ironizzava parafrasando una delle scuse di Sánchez per non formare governo: «Certamente non si dorme meglio con 52 deputati di Vox che con ministri di Podemos nel governo») e con una serie di partiti minori. Ma i socialisti vogliono riuscirci senza gli indipendentisti, e per questo, a parte una serie di appoggi dei piccoli, hanno bisogno dell’astensione di Ciudadanos. Il leader di Izquierda Unida, dentro Unidas Podemos, Alberto Garzón dice che oltre alla coalizione è aperto a «esplorare altre opzioni», così come Ábalos stavolta non chiude la porta alla presenza di ministri viola. Ma è un cammino in salita, e non è chiaro se Sánchez abbia la volontà o la capacità di percorrerlo.

* Fonte: Luca Tancredi Barone,  il manifesto[1]

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