Migranti, l’Alan Kurdi può finalmente sbarcare a Taranto
L’arrivo a Taranto è previsto per stamattina alle 8: l’Alan Kurdi, la nave dell’ong tedesca Sea Eye, finalmente potrà sbarcare gli 88 naufraghi ancora a bordo, nove i minori, soccorsi in mare a Nord ovest di Zuara, in Libia, il 26 ottobre. In base al pre accordo di Malta, saranno divisi in cinque paesi: la Germania e la Francia ne accoglieranno 60 in totale, il Portogallo cinque e l’Irlanda due, il resto rimarrà in Italia. Questa settimana a Taranto era approdata anche l’Ocean Viking: i 104 salvati dai volontari di Sos Méditerranée e Medici senza frontiere avevano dovuto attendere dodici giorni prima di ottenere il porto di sbarco.
È invece appena cominciata l’attesa di uno scalo sicuro per i 200 naufraghi intercettati tra venerdì notte e ieri mattina: «Erano in difficoltà – hanno raccontato sui social i volontari di Alarm phone -, sono stati tratti in salvo e sono ora sul mercantile battente bandiera italiana Asso Trenta in acque internazionali. Le autorità italiane sono state avvertite. Le persone scappavano dalla Libia e non possono farvi ritorno. Hanno bisogno di essere portate in Europa». L’ong Sea Watch ieri ha commentato: «La guardia costiera si assuma la responsabilità legale e coordini con urgenza il loro sbarco in un porto sicuro».
L’INTERVENTO delle navi commerciali nei salvataggi è diventato un evento raro da quando è cominciata la politica dei porti chiusi, con conseguenti lunghe trattative per far approdare i naufraghi. Elemento, per altro, che ha contribuito a far salire la percentuale dei morti nel Mediterraneo centrale rispetto al calo delle partenze. Lunedì scorso, ad esempio, l’aereo da ricognizione Moonbird di Sea Watch e dei piloti svizzeri volontari aveva avvistato un gommone in difficoltà: «Il nostro equipaggio ha cercato di allertare il mercantile Vos-Aphrodite, distante poche miglia, purtroppo invano – avevano poi denunciato martedì da Sea Watch -.
Nessuna delle navi nelle vicinanze è intervenuta». I 15 si sono salvati solo perché l’ong catalana Open Arms è riuscita ad avvistarli. Tra loro due bimbi e cinque minori.
Fine dell’incubo, invece, per i migranti dell’Alan Kurdi. Il loro salvataggio non è stato come gli altri e dà la misura di come sia deteriorata la situazione in Libia. È anche la prova che non ci sono i presupposti per collaborare con Tripoli. Abbarbicati sui tubolari erano in 92. L’Alan Kurdi era riuscita a intercettarli, aveva messo a mare i gommoni veloci e aveva già distribuito i giubbotti di salvataggio, in modo da poterli trasbordare in sicurezza, quando sono arrivati due motoscafi con la bandiera libica a poppa e le mitragliette a prua. Dal timone di uno di questi mezzi un uomo ha mimato il gesto del mitra: è stata una chiara minaccia all’equipaggio dell’ong. Una minaccia molto reale, seguita da spari in acqua e in aria.
TRA I NAUFRAGHI si è scatenato il panico, in 30 sono finiti in mare. Si sono salvati solo perché avevano già il giubbotto. Tutti tranne uno. Una ragazza denuncerà poi la scomparsa del fratello: disperso o rapito dei libici, impossibile dirlo. I volontari sono rimasti per tutto il tempo con le braccia alzate in segno di pace. Le telecamere sui caschi hanno ripreso l’intera sequenza. Dall’alto, anche Moonbird ha documentato l’aggressione. I motoscafi poi sono andati via, forse portando con loro un secondo barcone carico di migranti. Sull’Alan Kurdi sono approdati in 91. Sono ancora i video a raccontare: un ragazzo non riesce a passare dal tender alla nave, piange, si copre il volto con le mani, scosso dai singhiozzi. Uno dei volontari l’abbraccia cercando di attutire il terrore provocato dai libici. Ma chi erano gli uomini a bordo dei motoscafi? Da Tripoli non è arrivata alcuna spiegazione tranne: «Non erano della Guardia costiera, le ong gettano fango». Miliziani o unità di sicurezza dipendenti dal Ministero dell’Interno (come è stato ipotizzato), nella zona Sar libica non ci sono condizioni minime di legalità e sicurezza.
Una donna incinta al quarto mese è stata poi evacuata dall’Alan Kurdi perché si temeva per il feto. Questa settimana altri due hanno toccato terra in anticipo per motivi medici. Così stamattina sbarcheranno in 88, uno di loro si sospetta che abbia le costole rotte. Ha dovuto sopportare il dolore per otto giorni steso sul pavimento della nave. Otto giorni funestati da mare mosso, rollio con nausea, vento e pioggia. Sul ponte c’erano dei teli di plastica per cercare di tenersi all’asciutto. «Sono ancora spaventati – spiegavano ieri dalla nave -. Si sono chiusi in loro stessi e hanno paura a raccontare cos’hanno subito». Bisognerebbe chiedere alla ragazza che ha perso il fratello un secondo prima della salvezza cosa pensa del memorandum rinnovato ieri.
Fonte: Adriana Pollice, il manifesto
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