Francia e Cina insieme per blindare l’Accordo sul clima, malgrado Trump

by Anna Maria Merlo * | 6 Novembre 2019 10:17

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La conferma del ritiro degli Usa dall’Accordo di Parigi ha suscitato molte reazioni negative nel mondo, anche se era attesa – Trump l’aveva annunciato da tempo – e non potrà diventare operativa, stando alle regole, se non tra un anno, cioè all’indomani dell’elezione presidenziale statunitense (e se vincesse un democratico potrebbe venire ritirata già il 20 gennaio 2021, il giorno dell’investitura del prossimo presidente).

L’annuncio arriva a un mese dalla prossima conferenza, la Cop 25, appuntamento che ha già attraversato molte difficoltà, perché il Paese ospite avrebbe dovuto essere il Brasile, che poi ha rinunciato a causa dello scettico Jair Bolsonaro, e il vertice era stato spostato in Cile, ma anche qui c’erano problemi a causa dei conflitti sociali in corso. Si terrà in Spagna, nelle date previste, dal 2 al 13 dicembre.

L’organizzazione resta cilena (sono attesi 25mila delegati), mentre Madrid fornirà la logistica (del resto non è la prima volta che il Paese “ospite” organizza una Cop in un altro Stato. Era successo nel 2017: la conferenza ha avuto luogo a Bonn, sede della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici dell’Onu, che presiede le Cop, mentre l’organizzatore erano le isole Figi). Inoltre, gli Usa escono dall’Accordo di Parigi ma restano nella Convenzione quadro dell’Onu, oltre al fatto che 25 Stati e 430 città (pari al 65% della popolazione Usa e al 68% del peso economico) rimangono nell’accordo. Resta il fatto che la decisione di Trump potrebbe causare un effetto domino e trascinare nella denuncia dell’Accordo di Parigi altri Paesi governati da populisti scettici sul clima.

«È un elemento di procedura atteso – commenta l’Eliseo – ci dispiace e questo rende ancora più necessaria la partnership tra la Francia e la Cina sul clima e la biodiversità». Emmanuel Macron, che è in Cina, ha aggiunto che «la cooperazione di questo tema tra Cina e Unione europea è decisiva, l’anno prossimo dovremmo essere presenti per aumentare gli obiettivi»: c’è un impegno per limitare il rialzo delle temperature a 2°, ma nei fatti le promesse fatte finora dai Paesi firmatari si fermano a più 3°, cioè un livello giudicato troppo elevato per evitare rischi di grande importanza. Il Cile, per la Cop 25, ha scelto come tema di discussione una «Cop blu», dedicata agli oceani che minacciano un rialzo del livello delle acque che potrebbe mettere a rischio quasi un miliardo di persone entro fine secolo e causare esodi biblici.

La Cina, che è il secondo emettitore di Co2 dopo gli Usa, esorta Washington a «dar prova di maggiore responsabilità» e a «cooperare di più nel processo di cooperazione multilaterale invece di aggiungere energia negativa». Il presidente Xi Jinping assicura che la Cina nel 2018 ha diminuito le emissioni di Co2 del 46%, raggiungendo in anticipo gli impegni presi nell’ambito dell’Accordo di Parigi. Per la Russia, la decisione di Trump «nuoce in modo considerevole all’Accordo».

Sulla carta, il ritiro degli Usa non mette a rischio l’Accordo: c’è il consenso di 197 Paesi, per il momento 186 lo hanno ratificato e con la rinuncia Usa si passa da una ratifica che riguarda i responsabili del 97% delle emissioni di Co2 al 79%, sempre al di sopra della soglia minima del 55% (e 55 Paesi), che aveva permesso il 4 novembre 2016 all’Accordo di Parigi di entrare in vigore.

L’Onu resta ottimista. Per la segretaria esecutiva della Convenzione sul clima dell’Onu, Patricia Espinosa, è un «segnale incoraggiante vedere Paesi lavorare assieme per far fronte ai cambiamenti climatici, che è la più grande sfida per le generazioni presenti e future». Le ong sono invece molto preoccupate. «Un segnale estremamente grave che potrebbe avere conseguenze nel contesto geopolitico attuale di crescita degli estremismi e dei populismi, bisogna evitare l’effetto domino con altri Stati, in particolare il Brasile», secondo Reseau Action Climat.

Le notizie che arrivano dal fronte del cambiamento climatico sono sempre più preoccupanti. Solo negli ultimi giorni, New Dehli è in stato di emergenza. L’Ue continua a dichiarare di volersi porre come l’avanguardia della lotta al riscaldamento climatico, la nuova Commissione si è impegnata a mettere in atto un Green New Deal. Ma le difficoltà si stanno moltiplicando, la nuova presidente Ursula von der Leyen non ha potuto sottoporre al voto dell’Europarlamento la prossima Commissione nei tempi previsti, lo scrutinio è già slittato di un mese e potrebbe essere di nuovo rimandato, visto che mancano ancora tre commissari (dopo la bocciatura dei candidati di Francia, Ungheria e Romania), Budapest e Parigi hanno presentato nuovi nomi (che dovranno essere esaminati da Strasburgo) ma Bruxelles aspetta ancora la proposta della Romania.

La Ue ha ratificato l’Accordo di Parigi il 5 ottobre 2016 (quando lo hanno fatto anche 11 Paesi dell’Unione), ma una nuova Commissione debole, senza una sicura maggioranza parlamentare, potrebbe diventare l’ostaggio delle decisioni dei governi, minacciata di paralisi da un Consiglio dove non è difficile prevedere che gli interessi nazionali prenderanno il sopravvento, vista la difficoltà di conciliare economia e ambiente.

* Fonte: Anna Maria Merlo, il manifesto[1]

 

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