Ex Ilva. Le aziende dell’indotto protestano: Mittal paghi le fatture

Ex Ilva. Le aziende dell’indotto protestano: Mittal paghi le fatture

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I sindacati: «Le procedure di cassa integrazione vanno sospese. No al ricatto sulla pelle dei lavoratori»

Le aziende dell’indotto dell’ex Ilva di Taranto e quelle dell’autotrasporto tornano a manifestare alla portineria C del siderurgico oggi gestito da ArcelorMittal, dopo oltre quattro anni. L’iniziativa, concordata con Confindustria Taranto, riguarda il mancato ristoro delle fatture e la definizione dei pagamenti previsti per lavori e servizi effettuati da oltre 150 aziende per conto della multinazionale. Il credito vantato si aggira tra i 50 e i 60 milioni di euro.

La maggior parte delle fatture non sono ancora scadute, ma visti gli eventi delle ultime settimane, le aziende temono che qualora ArcelorMittal lasciasse davvero la gestione dell’ex Ilva il 4 dicembre, potrebbe non saldare quanto dovuto. A tal proposito nei giorni scorsi, in una riunione con l’ad Lucia Morselli, era stata data ampia garanzia ai sindacati metalmeccanici che l’azienda avrebbe saldato le somme in questione per tempo e senza nessun ritardo. Rassicurazioni che però non sono bastate a Confindustria Taranto, a fronte del fatto che l’azienda non ha più risposto alle diverse sollecitazioni dell’associazioni degli industriali alla quale peraltro ArcelorMittal Italia è iscritta. Per questo nei giorni scorso è stata decisa la messa in mora di ArcelorMittal. Inoltre, le esperienze del passato non aiutano a fidarsi delle promesse: le aziende dell’indotto e dell’autotrasporto hanno perso 150 milioni di euro di crediti vantati dall’ex Ilva, confluiti nella massa passiva del fallimento della società. Crediti che non saranno mai più versati nelle casse delle varie aziende.

«Siamo qui perché il ristoro delle nostre fatture non è ancora pervenuto. Mittal aveva dato rassicurazioni sul fatto che avrebbe pagato ma ancora ad oggi manca una interlocuzione diretta. Questo ci preoccupa: devono definire i pagamenti», ha sottolineato il presidente di Confindustria Taranto, Antonio Marinaro, presente al presidio che proseguirà nei prossimi giorni e che per ora ha impedito l’uscita dei camion con le merci ma non quello di ingresso delle materie prime. Marinaro ha precisato che «non è intento dell’indotto rallentare le attività all’interno dello stabilimento, ma far rispettare i suoi diritti e le sue aspettative. Ovvero una pianificazione del rientro dei pagamenti. Abbiamo dato servizi alla multinazionale: chiediamo il rispetto dei contratti». Le aziende dell’indotto di autotrasporto «che hanno come cliente principale ArcelorMittal – aggiunge Casartigiani – sono impossibilitate a rispettare le prossime scadenze tributarie, fiscali e previdenziali visto il mancato incasso delle fatture».

Ma la decisione di molte aziende dell’indotto di inviare sin da subito le prime lettere di cassa integrazione minacciando il mancato pagamento degli stipendi e paventando possibili licenziamenti, non è affatto piaciuta ai sindacati. «Confindustria Taranto ponga fine a questo inutile ricatto sulla pelle dei lavoratori», sottolineano le segreterie provinciali di Fiom, Fim e Uilm dopo aver incontrato l’ad di ArcelorMittal Italia, Lucia Morselli, a cui hanno chiesto risposte alle preoccupazioni per i pagamenti dei crediti delle aziende degli appalti. La Morselli ha risposto chiarendo che «l’azienda rispetterà tutti gli impegni: pertanto – dicono i sindacati – riteniamo inammissibile da parte di alcune aziende dell’indotto l’avvio della procedura di cassa integrazione e la contestuale minaccia di mancati pagamenti degli stipendi per i lavoratori delle stesse aziende operanti all’interno dello stabilimento siderurgico» di Taranto.

Anche ieri, al termine del consiglio di fabbrica, i sindacati hanno chiesto a Confindustria Taranto «l’immediata sospensione delle procedure di cassa integrazione e di provvedere a regolare pagamento delle retribuzioni dei lavoratori», che sono in tutto seimila. E’ probabile che nella riunione convocata per questa mattina Confindustria e sindacati possano trovare un accordo per procedere in maniera comune sulla questione, evitando di aggiungere altra tensione in una situazione già di per se profondamente complessa.

* Fonte: Gianmario Leone, il manifesto



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