E’ nata la nuova Commissione, Von der Leyen promette un Green New Deal

by Anna Maria Merlo * | 28 Novembre 2019 8:02

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Per la neo-presidente Ursula von der Leyen il voto dell’Europarlamento è stato «un voto di fiducia». La nuova Commissione europea è stata approvata ieri al Parlamento europeo con 461 voti a favore, 151 contrari e 89 astenuti. Su 751 eurodeputati, ne erano presenti 707 (assenze giustificate per i tre catalani, che avendo rifiutato di passare per Madrid, come pretende la legge spagnola, non possono essere presenti a Strasburgo).

UNA MAGGIORANZA schiacciante per von der Leyen, che ha tirato un grosso sospiro di sollievo dopo il risultato ristretto sul suo nome, lo scorso 16 luglio (passata con soli 9 voti). Gli europarlamentari Ppe hanno votato compatti a favore della Commissione dove hanno la presidenza e 9 commissari ufficiali più due e mezzo tra i 4 indipendenti (il mezzo è il francese Thierry Breton, scelto da Macron e ex ministro di Chirac). Nel gruppo S&D i malumori che si erano sfogati il 16 luglio sono stati riassorbiti: grosso voto a favore, con qualche astenuto (9, tra cui il francese Glucksmann, che era stato capolista alle europee) e un voto contro (Petra Kammerevert, Spd). Nel gruppo liberale di Renew Europe i francesi di Macron hanno votato tutti a favore, mentre ci sono state 4 astensioni. I Verdi, che non hanno potuto esprimere nessun commissario (non governano con un ruolo centrale da nessuna parte) si sono divisi sulla Commissione von der Leyen con una grossa astensione, un gruppetto consistente per il no ma anche 5 sì.

LA SINISTRA DELLA GUE ha votato contro, ma con un’astensione e un sì. L’estrema destra Id (dove siede la Lega) ha votato compatta contro, l’Ecr (dove c’è FdI) si è spaccato in tre parti decrescenti (a favore, contrari, astenuti), i non inscritti si sono rifugiati in maggioranza nell’astensione, ma ci cono stati anche voti a favore e contro (i 5 Stelle, che avevano permesso a von der Leyen di passare l’esame a luglio, si sono spaccati).

In un emiciclo a metà vuoto, la neo-presidente ha elencato il suo catalogo di buone intenzioni: Green New Deal come «must» per i prossimi 5 anni, di fronte alla «questione esistenziale» del cambiamento climatico, una transizione «di una generazione, che dovrà essere giusta e inclusiva altrimenti non avrà luogo», Europa come luogo di espressione dei «popoli e delle loro aspirazioni», Ue da trasformare in «potere digitale con una forte economia sociale di mercato», trovare una «risposta comune a una sfida comune: l’immigrazione» (con «soluzioni che vanno bene a tutti, l’Europa darà sempre accoglienza a chi ha bisogno di protezione internazionale», ma dovrà assicurarsi che «chi non ha diritto di stare, torni a casa sua»).

INOLTRE, LA NECESSITÀ di investimenti «pubblici e privati» per «guidare la trasformazione» a livello mondiale partendo da un «handicap» perché «per anni abbiamo investito meno dei concorrenti», Usa e Cina (che hanno sorpassato l’Europa persino negli investimenti verdi). Persino la citazione di Venezia con l’acqua alta è servita a rafforzare il discorso. «Abbiamo un problema» ha risposto Martin Schirdewan della Gue: «Avete promesso di tutto, ma come farete se continuate a sostenere politiche di austerità?». Non dice nulla di diverso la capogruppo S&D, la socialista spagnola Iratxe Garcia: «Non possiamo fare di più con poche risorse, per nuovi progetti servono nuovi soldi».

LA VERDE SKA KELLER è entrata più nei dettagli: «Come fa la Commissione ad avere una politica ambientale ambiziosa senza riformare la politica agricola comune o il commercio?». E «come può Thierry Breton, businessman nel digitale, avere il mercato interno e l’Ungheria essere responsabile di dire ai candidati all’ingresso nella Ue come devono rafforzare lo stato di diritto?». Brevi cenni sull’universo da parte del capogruppo Renew Europe, Dacian Ciolas: «Dobbiamo dimostrare che siamo capaci di realizzare un patto sulla migrazione e l’asilo che si accordi con i nostri valori, costruire una nuova alleanza per gli investimenti comuni e la sostenibilità, una vera Europa della Difesa aperta alla cooperazione».

MANFRED WEBER, PPE, ha insistito sull’identità europea (confermando l’idea dello scampato pericolo, visto che era lui, capogruppo Ppe, lo Spitzenkandidat per il posto poi andato a Ursula von der Leyen): «Tutti sappiamo descrivere la nostra identità nazionale, la sua storia, la sua cultura. Ma come europei?». Weber ha però tenuto a sottolineare che la «parte cruciale» del programma della nuova Commissione comprende le «priorità» del Ppe. Anche i socialisti insistono su questo: abbiamo influenzato il programma. I socialisti hanno approvato il controverso bilancio Ue e affermano che «su ogni 5 euro spesi, un euro andrà alla lotta al riscaldamento climatico» per merito loro.

* Fonte: Anna Maria Merlo, il manifesto[1]

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