by Giuliano Santoro * | 10 Novembre 2019 16:18
«Non si può lottare contro una cosa che non sai cos’è» dice Marco, che si era venduto la licenza da tassinaro per rilevare un pub nel quartiere romano di Centocelle e che nel giro di pochi minuti ha visto il fuoco mangiarsi la sua attività. Le sue parole descrivono il sentimento che circola da queste parti: non si tratta esattamente di paura. Più precisamente, si respira angoscia, cioè si avverte un allarme indefinito e dunque spiazzante. Non si sa bene da cosa essere intimoriti ma si ha la consapevolezza che qualcosa stia accadendo.
Il fuoco a Centocelle, a Roma, nell’Italia da anni in preda alla paranoia securitaria, ha divampato di nuovo nella notte tra venerdì e sabato scorsi, intorno alle 3. Siamo in via dei Ciclamini, sempre di arbusti si parla quando si scorre la toponomastica di questo quadrante della periferia orientale romana, e ci troviamo a poche centinaia di metri dalla Pecora Elettrica e dalla pizzeria Cento55 di via delle Palme, che sono andate a fuoco nei giorni scorsi. Le fiamme si mangiano il Baraka Bistrot. Accade in un quartiere messo sotto doppio controllo dalle forze dell’ordine dopo gli eventi recenti. È un’azione da professionisti che suona come una beffa agli uomini in divisa chiamati a presidiare le strade del quartiere e come una sfida alle centinaia di cittadini, forse 3 mila, che solo il 6 novembre scorso si erano incontrati in queste strade per protestare contro l’aggressione alla libreria La Pecora Elettrica.
IL BARAKA BISTROT è distrutto. Aveva da poco cambiato gestione, ma manteneva un atteggiamento empatico con l’attitudine ribelle del quartiere. È uno dei posti che erano nati attorno alla grande comunità che ogni giorno attraversa le gallerie e i sotterranei del centro sociale Forte Prenestino. Dalle prime ore del mattino molti degli occupanti del Forte si presentano davanti alle saracinesche incendiate e cercano di capire cosa sia potuto accadere. Ancora dopo il secondo incendio alla Pecora Elettrica si poteva pensare a uno scontro limitato a un pezzo di strada di un pezzo di città. Questo nuovo attentato fa capire che il nemico invisibile che ha scelto questa piccola strategia della tensione per un intero quadrante di Roma ha un’idea ben precisa che si fa fatica a individuare. Questa indeterminatezza, come in ogni noir che si rispetti, alimenta la tensione.
A MICROFONI SPENTI, gli inquirenti ammettono che fino all’altro giorno consideravano Centocelle come una specie di isola felice dentro una città che sembra andare in pezzi. Ma forse è proprio questo il punto. È possibile immaginare il quartiere come avulso dalla metropoli impazzita, estraneo alle beghe dei quartieri limitrofi? Se si percorre fino in fondo via delle Palme, oltre la circonvallazione di via Palmiro Togliatti, si arriva al Quarticciolo, dove sorgerebbero inquietanti presidi criminali. E allora l’oasi felice di Centocelle, che con tutte le sue contraddizioni non ha mai conosciuto la precipitazione verticale delle batterie e delle rigide gerarchie mafiose, sarebbe il terreno di conquista di questa guerra che si manifesta con le fiamme dietro le saracinesche. Le manovre egemoniche criminali punterebbero proprio sul parco del Forte Prenestino, attorno al quale si sono consumati i roghi di questi ultimi giorni e sul quale incombe l’autorevolezza tranquilla e antiproibizionista di un’occupazione che non tollera monopoli e speculazioni tossiche.
Il presidente della regione Lazio e segretario del Pd Nicola Zingaretti annuncia un «pacchetto di misure», la ministra dell’interno Luciana Lamorgese assicura «l’attenzione e l’impegno del Viminale». Virginia Raggi fino ad oggi si era astenuta. Questa volta la sindaca si è presentata e si è intrattenuta davanti al luogo dell’incendio. Ha fatto una mezza marcia indietro sulla proposta, avanzata nei giorni scorsi, di impiegare l’esercito ma di fatto ha rimandato ogni decisione al Comitato per l’ordine e la sicurezza già fissato per il prossimo 15 novembre.
«DOBBIAMO FARCI FORZA l’uno con l’altro», dice Giuseppe De Marzo di Libera lamentando il vuoto della politica che apre spazi alle mafie e ricordando i tagli costanti negli anni (anche da parte di questa amministrazione) alle politiche sociali. «Non sarà la militarizzazione, ma la vita nelle strade l’antidoto» aggiunge Paolo Di Vetta dei movimenti di lotta per l’abitare. In effetti a poco è servita la stretta repressiva delle ultime ore, visto il contesto nel quale si è consumato l’incendio al Baraka Bistrot, con vistosi lampeggianti praticamente dietro l’angolo. «Un altro pub incendiato, dopo che un dispiegamento di polizia gigantesco aveva invaso il quartiere con posti di blocco e decine di agenti», commentano alle prime luci dell’alba quelli di Azione antifascista Roma Est, che pochi giorni fa avevano riempito le piazze invitando all’«autodifesa collettiva». Si ragiona di un nuovo corteo per sabato prossimo. Oggi pomeriggio se ne parlerà al Forte Prenestino, dove si incontra il comitato di cittadini che si occupa del parco di via delle Palme.
SE IL CAPOLAVORO della mafia, per anni, è stato quello di convincere il prossimo della sua inesistenza, il motivo portante degli incendi seriali che colpiscono Centocelle è che seminano sospetti, ansie e inquietudini senza rivendicazioni o obiettivi dichiarati. «Ci siamo quasi abituati a questa puzza di plastica bruciata», dice una residente. Quella puzza è il diabolico nemico invisibile che volteggia sulla ricchezza collettiva di un quartiere.
* Fonte: Giuliano Santoro, il manifesto[1]
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