Dopo il Golpe la Bolivia va a nuove elezioni, Mas e Añez verso un accordo

by Claudia Fanti * | 16 Novembre 2019 9:58

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L’autoproclamata presidente ad interim Jeanine Añez lo ha detto e ripetuto: la pacificazione della Bolivia sarà la principale missione del nuovo governo. Ma non è affatto quello che sembra. «Inseguiremo per cielo e per terra Juan Ramón Quintana e Raúl García Linera e cattureremo venezuelani e cubani che stanno operando nel paese», ha garantito il nuovo ministro dell’Interno Arturo Murillo, promettendo il carcere a chi «promuove la sedizione».

TRA I SEDIZIOSI sono compresi anche i giornalisti non allineati, gli «pseudogiornalisti», come li ha definiti la ministra della Comunicazione Roxana Lizarraga, contro cui saranno adottati «i provvedimenti pertinenti».

E i primi a rimetterci sono stati i giornalisti argentini di TN, Telefé e América 24, aggrediti e accusati di attentare all’ordine costituito.
«Cominciano male», è stato il secco commento dell’ambasciatore argentino in Bolivia, Normando Álvarez García. E mentre il governo approfondisce la sua personale interpretazione della pace sociale, il Mas, che in Parlamento dispone dei due terzi dei seggi, ha provveduto a ripristinare la regolare attività legislativa, procedendo ad eleggere Mónica Eva Copa come nuova presidente del Senato, dopo aver già nominato Sergio Choque alla guida della Camera dei deputati.

E se l’obiettivo indicato dalla neoeletta è quello di «pacificare il paese e difendere la democrazia», un passo avanti su questa strada potrebbe venire nelle prossime ore da un accordo sulla procedura per arrivare rapidamente a nuove elezioni. Non si fermano intanto le mobilitazioni contro il golpe, sul quale gettano nuova luce due distinti rapporti – uno dello statunitense Walter Mebane, considerato uno dei principali esperti di frode elettorale al mondo, e l’altro del bioinformatico argentino Rodrigo Quiroga – che, smentendo le conclusioni del rapporto dell’Osa, arrivano alla stessa conclusione: il vantaggio di Evo Morales è stato realmente superiore di 10 punti rispetto a Carlos Mesa, non essendo le irregolarità registrate tali da incidere sul risultato finale.

MA IN QUESTO QUADRO di incertezza prosegue anche il dibattito, all’interno della sinistra non solo boliviana, sul giudizio da dare del governo Morales. Un dibattito, pure piuttosto aspro, tra chi difende a spada tratta le conquiste realizzate – indubbiamente – negli ultimi 13 anni e chi evidenzia il tradimento delle speranze inizialmente suscitate dal governo, man mano venute meno di fronte alla sua progressiva deriva autoritaria, alla criminalizzazione del dissenso e all’avanzare di un modello che María Galindo, leader femminista dell’associazione Mujeres Creando, non esita a definire «neoliberista, consumista, estrattivista, ecocida e clientelare», lontano anni luce dal dettato costituzionale sul buen vivir e la difesa della Pachamama. Cosicché, scrive, se «il colpo di Stato promosso dalla Cia e dall’oligarchia fascista dei possidenti terrieri di Santa Cruz almeno in parte è certo», è solo però «la metà del conflitto».

* Fonte: Claudia Fanti,  il manifesto[1]

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