Autunno caldo. «Il contratto figlio dei movimenti, così gli operai furono protagonisti»

Autunno caldo. «Il contratto figlio dei movimenti, così gli operai furono protagonisti»

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Era un venerdì. E per la prima volta i metalmeccanici di tutta Italia scesero in piazza a Roma, raggiungendola con tutti i mezzi. Il 28 novembre 1969 è considerato unanimemente l’apice dell’autunno caldo. Cinquantanni esatti dopo la Fiom lo celebra rivendicando come quella lotta portò «al contratto nazionale più avanzato della storia sindacale» firmato un mese e mezzo dopo, l’8 gennaio 1970. Un contratto che ridusse l’orario settimanale a 40 ore, sancì il diritto di assemblea, determinò significativi aumenti salariali e il riconoscimento dei rappresentanti sindacali. «Un contratto che spostò per la prima volta il baricentro tra capitale e lavoro», come ha sottolineato nell’introduzione Adolfo Pepe.
Quella manifestazione unitaria conclusa con i comizi in piazza del Popolo dei segretari generali di Fim, Fiom e Uilm Luigi Macario, Bruno Trentin e Giorgio Benvenuto fu però il frutto di una grande stagione di mobilitazione nelle fabbriche e sui territori. «L’entusiamo di quella manifestazione fu unico, ci spinse ad andare avanti», ricorda Tiziano Rinaldini, al tempo studente a Bologna e in piazza quel giorno. «Quel contratto è figlio di una ondata di vertenze territoriali che ebbe come epicentro la Fiat ma che vide una contrattazione decentrata nei mesi precedenti con centinaia di vertenze in tutta l’Emilia. Ed è merito straordinario dei gruppi dirigenti di quel periodo, anche più di Trentin, Carniti e Trentin. Al centro c’era il protagonismo dei lavoratori e la richiesta di un aumento uguale per tutti che divenne elemento condiviso dal movimento universitario e da quello delle donne», come ha ricordato anche Lia Cigarini.
«Io, che il giorno dell’assunzione scioperai su indicazione della Commissione interna – racconta Gino Mazzone, allora operaio della Fatme a Roma – fui subito schedato come “pericoloso agitatore comunista” e mandato in un reparto confino. Ma da lì capì meglio la fabbrica e questo mi aiutò per preparare la trattativa che imponemmo all’azienda sulla riduzione del cottimo e l’organizzazione del lavoro: portammo Trentin in assemblea. Il giorno dello sciopero ci mandarono a fare un picchetto a Pomezia e alla manifestazione a piazza del Popolo non riuscimmo ad andare, ma fummo orgogliosi del risultato storico».
A tirare le fila dei ragionamenti è stata Francesca Re David. L’attuale segretaria generale della Fiom ha ricordato come «la prima manifestazione nazionale unitaria dal dopoguerra era a rischio ordine pubblico ma tutto si svolse senza incidenti: quel giorno per la prima volta la Fiom si dotò di un servizio d’ordine». Il suo è poi stato un parallelo fra le tante similitudini fra il 1969 e oggi. «Nessuno lo sa ma il numero dei metalmeccanici è lo stesso: circa 2,4 milioni, anche se non c’è più Mirafiori e ci sono tante piccole aziende e tanti appalti e sub appalti. Anche la richiesta centrale del contratto è la stessa: aumento salariale uguale per tutti. Oggi Federmeccanica ci risponde sostenendo che le grandi aziende hanno già pagato e le piccole non hanno la forza ma così facendo mette in discussione ancora una volta lo strumento del contratto nazionale che è fondamentale anche per avere una contrattazione di secondo livello».
L’occasione è servita anche per annunciare come sia tornato consultabile l’archivio nazionale della Fiom e della Flm che prestò sarà arricchito da una sezione riguardante il periodo 1901-1925, il cui fondo, conservato all’Archivio centrale di Stato, sarà digitalizzato.

* Fonte: Massimo Franchi, il manifesto



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