Arresto Nicosia. Radicali italiani: «Colpiti, ma più attivi nel lavoro sulla giustizia»
«Quando entri con un deputato, non è come quando entri con i Radicali: chiudono la porta…». In una delle intercettazioni, Antonello Nicosia, l’assistente parlamentare dell’onorevole Giuseppina Occhionero (Italia Viva) e membro del Comitato nazionale di Radicali italiani fino a domenica pomeriggio, arrestato ieri con l’accusa di avere fatto da messaggero di alcuni boss mafiosi, lo dice chiaramente: le visite ispettive in carcere che sono da anni una costante della militanza radicale – sia del Partito nonviolento transnazionale e transpartito che del suo parente “italiano” – sono assai poco adatte a scopi illegali. E altrettanto chiaramente scrivono i pm della Dda di Palermo nel decreto di fermo: il 48enne palermitano già condannato per traffico di stupefacenti avrebbe strumentalizzato «un impegno politico e sociale sicuramente ispirato a nobili e lodevoli principi», adoperandosi parallelamente «al fine di favorire, a vario titolo, più associati mafiosi».
Eppure la notizia rischia di gettare un’ombra sul lavoro di chi si batte per i diritti dei detenuti ed è calata perciò come una doccia gelata sulla neo eletta dirigenza dei Radicali italiani votata a Torino nel Congresso che si è concluso domenica sera. Nicosia non vi ha partecipato e non è stato rieletto nel Comitato nazionale, organismo che conta una cinquantina di persone e del quale l’assistente parlamentare ha fatto parte per due anni (occorrono pochi voti per essere eletti). Ma lo sconcerto c’è.
«Ribadiamo anzitutto che la presunzione di innocenza vale per tutti e che i processi si celebrano nei tribunali, non sui media attraverso le intercettazioni, anche quando hanno un contenuto gravissimo come quelle che sono state diffuse», commentano in una nota il nuovo segretario, Massimiliano Iervolino, la tesoriera, Giulia Crivellini, e il presidente Igor Boni. È «un danno enorme nei confronti di noi radicali che lottiamo da decenni per garantire lo stato di diritto», prosegue il direttivo di RI. Nessuna «battuta d’arresto», però: «La tutela della Costituzione e dei diritti non solo non fa gioco a chi si è macchiato di crimini inenarrabili – aggiunge Giulia Crivellini – ma contribuisce a creare più sicurezza per tutti, all’interno e soprattutto all’esterno del carcere». L’auspicio è che l’episodio diventi invece «uno stimolo a proseguire con convinzione ancora maggiore non soltanto il lavoro nelle carceri, ma anche a rilanciare la lotta alla criminalità attraverso le nostre proposte, ad esempio, di legalizzazione e di decriminalizzazione delle sostanze stupefacenti, così come abbiamo ribadito nella mozione del congresso».
Nicosia non era molto attivo nel partito, negli ultimi tempi, ma la notizia brucia perché, raccontano alcuni iscritti, sembrava «molto professionale, preparato». Invece Rita Bernardini, dirigente del Prntt ed ex segretaria di RI, ricorda: «Mi sembrava più un esaltato, non mi piaceva, e avevamo avuto delle divergenza proprio su come devono essere effettuate le visite in carcere». In quel periodo, quando i due partiti erano parte della stessa “galassia”, Nicosia era iscritto ad entrambi, come ricorda Marco Taradash, oggi nella segreteria di +Europa.
Emma Bonino però non demorde e insiste sulla «presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva». E rilancia: «L’attività di Radicali a tutela delle guardie penitenziarie, dei detenuti e nelle carceri continuerà con rinnovato vigore». Lei che domenica mattina, a Torino, aveva sferzato i militanti: «Diecimila iscritti o ci sciogliamo, questo deve essere il nostro obiettivo. Dobbiamo impegnarci tutti di più – aveva aggiunto – siamo in grado di coltivare in casa cinque piantine di marijuana ciascuno e poi autodenunciarci tutti?». Come a voler dare un senso a quel titolo del Congresso: «Radicali, nel buio li riconosci».
* Fonte: Eleonora Martini, il manifesto
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