Ungheria, il contrasto dell’immigrazione costa ma non rende
Alcune statistiche pubblicate di recente dai portali d’informazione 444.hu e mfor.hu, mostrano il livello attuale della spesa affrontata dal governo Orbán per contrastare l’immigrazione. Da esse risulta che l’anno scorso la medesima è stata di 87,7 miliardi di fiorini, corrispondenti a circa 264 milioni di euro (era stata addirittura 155 miliardi nel 2017) e ha superato di 13 miliardi quella prevista. Ben più dei 63,6 miliardi di fiorini spesi nel 2015, nel periodo culminante dell’ondata migratoria verso l’Europa. Ma mentre quattro anni fa le persone fermate al confine ungherese sono state 391.000, nel 2018 il dato si è fermato alle 6.361 unità. In pratica, l’anno scorso la somma spesa dalle autorità di Budapest per migrante sarebbe stata di 13,8 milioni di fiorini (circa 41.500 euro), e non si è trattato certo di soldi usati a titolo di accoglienza. Del resto, in questi ultimi anni le principali organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani hanno accusato l’esecutivo magiaro di spendere più in sistemi di difesa delle frontiere che nella gestione umanitaria del fenomeno che, sia detto, non ha mai visto l’Ungheria tra le principali mete dei flussi migratori. Del resto, i numerosi migranti che alla fine dell’estate del 2015 affollavano le stazioni di Budapest, specie quella Orientale, erano in attesa di treni che li portassero in Austria, in Germania; non avevano certo intenzione di fermarsi nello Stato danubiano. Puntavano a mete ben più appetibili dal punto di vista delle condizioni economiche, attratti dalle aperture della Merkel, basate sul no alla paura, ai muri e ai fili spinati.
Di segno ben diverso la posizione del governo Orbán che, proprio nel 2015, ha visto nei flussi migratori una carta da giocare a scopo politico per consolidare il favore popolare e riguadagnare le simpatie di elettori disamorati o delusi. Da allora la propaganda dell’esecutivo è incentrata sulla questione migranti e risulta martellante, ossessiva: agita lo spauracchio dell’invasione di migranti musulmani e i conseguenti rischi per la sopravvivenza dell’Europa e della sua identità culturale che per Orbán è inequivocabilmente cristiana. Il premier ungherese ha così vestito i panni del leader forte che si pone più di chiunque altro il problema della difesa dei confini europei. Per il premier ungherese quello del migrare non è un diritto fondamentale; “L’Europa agli europei” è lo slogan per rinsaldare lo spirito di appartenenza culturale al Vecchio Continente. In questi anni Orbán ha reiterato il suo punto di vista sui flussi migratori che considera negativi da tutti i punti di vista: economico, sociale, culturale e della sicurezza pubblica, in quanto li considera facili veicoli di terrorismo internazionale. Su queste premesse si fonda l’entrata in vigore di leggi che sanzionano la solidarietà ai migranti e l’accusa rivolta alle ONG impegnate nella difesa dei diritti umani, di essere agenti al soldo di speculatori internazionali. È nota l’avversione del premier verso il magnate americano di origine ungherese George Soros che, secondo il governo magiaro, vorrebbe riempire l’Europa di migranti in combutta con la tecnocrazia di Bruxelles e con le mafie attive nel traffico di esseri umani. Il piano attribuito a questi “cospiratori” è di privare l’Europa della sua identità e farne una colonia del capitale globale in barba ai governi nazionali.
Le somme investite in questi anni dal governo ungherese in sistemi di difesa delle frontiere e in propaganda per convincere la gente del pericolo rappresentato dai migranti, sono considerevoli. Questo martellamento intende tra l’altro distogliere l’interesse dell’opinione pubblica da una serie di problemi reali riguardanti diversi ambiti quali la sanità, la scuola, la scarsità di manodopera qualificata e una certa povertà diffusa. Secondo un recente articolo uscito sul quotidiano di opposizione Népszava che cita la GYERE, associazione che si occupa di infanzia, oltre la metà dei bambini ungheresi cresce all’interno del 30% degli strati sociali più poveri del paese. La povertà si concentra nelle zone di provincia e aumenta man mano che si va verso est; ed è proprio nelle zone rurali, quelle più depresse, che la propaganda governativa risulta più efficace e convince la gente che per non perdere il poco che ha deve votare per Orbán. Il voto però, stavolta, ha avuto un risvolto amaro per il premier. Alle amministrative, infatti, il suo Fidesz ha perso a Budapest e in undici delle ventitré città del paese impegnate nel test elettorale. Per la prima volta l’opposizione è riuscita a coordinarsi per presentare un candidato unico nei centri teatro di voto. Il risultato è espressione di quella parte di paese che vuole un cambiamento e che cerca una rappresentanza politica alla quale riferirsi. La strada è senz’altro quella di una maggior coesione tra le forze che cercano di opporsi al governo, l’errore sarebbe però dare Orbán per finito.
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