Spagna. A due settimane dalle elezioni, la Catalogna non si placa
BARCELLONA. Come era prevedibile, la situazione in Catalogna non si stabilizza e con tutta probabilità continuerà a scuotere il paese. Mostra ne sia che il comune di Barcellona, che ha già ricomprato le centinaia di cassonetti bruciati dai manifestanti nelle settimane passate, ha deciso di non rimpiazzarli fino a che la situazione non si sarà calmata.
Anche lo scorso fine settimana si sono susseguite manifestazioni in appoggio ai prigionieri politici catalani e a favore dell’indipendenza, seguite da una costellazione di piccole e grandi proteste in strade, stazioni, e talvolta anche con scontri con la polizia (che continua a non fare alcuno sforzo per abbassare la tensione). Domenica c’è anche stata una manifestazione di segno contrario, contro l’indipendentismo (molto ridotta: 80mila persone, contro 350mila della manifestazione del giorno prima in Carrer Marina, secondo cifre della Guàrdia Urbana di Barcellona).
Solo nella giornata di ieri, in mattinata centinaia di persone hanno fatto la fila davanti ai tribunali per autodenunciarsi per aver votato al referendum dell’1 ottobre 2017 e aver partecipato alle proteste di quel settembre, le stesse per cui sono stati condannati i dirigenti politici catalani. La protesta l’aveva convocata l’associazione Òmnium cultural (il cui presidente è uno dei 9 condannati). Oltre a vari blocchi di autostrade e treni (di breve durata), ieri sera i Comitati di difesa della repubblica convocavano una manifestazione alla stazione Sants di Barcellona. A Via Laietana, in pieno centro, il punto dove ha sede la policia nacional (spagnola) continua a essere presidiato giacché è stato il fulcro di molte manifestazioni. E oggi la partita del Barça sarà occasione di nuove proteste dagli spalti.
E siamo a sole due settimane dal voto. I socialisti si sono resi conto di aver commesso un grave errore. E che la crisi catalana rischia di esplodergli fra le mani (non a caso, per la prima volta Sánchez la campagna la chiuderà proprio a Barcellona). Non solo tutti i sondaggi li danno in calo, ma assai preoccupantemente, il Pp e Vox sono in forte rimonta: assieme potrebbero raggiungere quasi 140 seggi (mentre Ciudadanos, vittima della propria politica zigzagante e urlata, viene dato addirittura come quinto partito). Non solo dunque la prospettiva di un’alleanza di sinistra è destinata a sfumare per sempre, ma lo scenario che sembra più probabile è quello di una Grosse Koalition alla spagnola: né con Ciudadanos, né con Unidas Podemos Sánchez avrà i numeri. Oltretutto Esquerra repubblicana, date le circostanze catalane, è ormai molto meno propensa a regalare i propri voti ai socialisti, mentre da sinistra si affaccia la Cup che per la prima volta ha deciso di presentarsi alle elezioni nazionali e che potrebbe ottenere una manciata di seggi. Hanno già detto che non voteranno mai un governo che non sia disposto a negoziare un referendum.
A frammentare ancora di più la sinistra è spuntato l’ex numero due di Iglesias, l’abile Íñigo Errejón che con il suo Más País a parole vuole “facilitare” l’accordo che Sánchez e Iglesias non hanno raggiunto, ma nei fatti si limiterà a rubare un po’ di voti agli uni e un po’ agli altri. Potrebbero ottenere una decina di seggi. Davanti a questa catastrofe da loro provocata, i socialisti scelgono uno slogan di campagna ineffabile: «Ora sì». Verrebbe da dire: e prima invece?
* Fonte: Luca Tancredi Barone, il manifesto
photo by Òmnium Cultural [CC BY-SA 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0)]
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