L’offensiva “Fonte di pace” di Erdogan: bombe su Tal Abyad e Serekaniye

L’offensiva “Fonte di pace” di Erdogan: bombe su Tal Abyad e Serekaniye

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Fuga dall’inferno.  Morti anche in Turchia, colpiti dai mortai delle Fds. 100mila civili in fuga

È feroce la battaglia che si combatte in queste ore tra Tal Abyad e Serekaniye (Ras al Ayn). Da questa striscia di territorio lunga 120 km, sul confine tra Siria e Turchia, giungono immagini drammatiche ma che allo stesso tempo testimoniano la resistenza indomita dei curdi all’offensiva “Fonte di pace”. Le forze armate turche e i 14mila mercenari dell’Esercito libero siriano, non risparmiano le munizioni. Dopo tre giorni di combattimenti cruenti sarebbero penetrati fino a 8 km dal lato di Tal Abyad e 4 km dal lato di Serekaniye. La giornalista Zeina Khodr di Al Jazeera ieri, dalla città di frontiera turca di Akcakale, raccontava che l’esercito agli ordini di Recep Tayyib Erdogan sta usando una potenza di fuoco eccezionale pur di prendere il controllo dell’area di Tel Abyad: attacchi aerei, artiglieria e missili. «I turchi concentrano la loro operazione in questa zona – ha spiegato Khodr – dicono che questa è la fase iniziale della loro operazione. Al momento, è difficile dire se le operazioni si estenderanno o meno».

E tornano in queste ore in primo piano anche i miliziani dello Stato islamico – cinque dei quali sono scappati da una prigione curda – che ieri hanno compiuto un duplice attentato in una delle città curde più importanti e popolose, Qamishlo, nella parte orientale del Rojava, facendo cinque morti e numerosi feriti. Nella stessa zona l’artiglieria di Ankara ha preso di mira i villaggi di Sermsax, Heyaka, Girke Xezna e Derna Axi. L’agenzia ANF ha postato un video da Ayn Diwar, a 12 km da Derek, ridotto in macerie e vuoto. Il ministero della difesa turco ieri parlava di 342 «terroristi» uccisi, feriti e fatti prigionieri e della conquista di 13 villaggi all’interno del territorio controllo dai curdi siriani. «L’operazione continua con successo, come pianificata. Finora sono stati neutralizzati 342 terroristi. Speriamo di finire quel che abbiamo iniziato», ha dichiarato con soddisfazione il ministro della difesa Hulusi Akar. Secondo il ministro l’offensiva si basa su un (presunto) «diritto all’autodifesa» previsto dalla Carta delle Nazioni Unite. «Il nostro obiettivo – ha aggiunto Akar – è di porre fine alla presenza di ‘terroristi’ a est del fiume Eufrate…e di istituire un corridoio di pace che permetta il ritorno in patria dei nostri fratelli siriani (i profughi attualmente in Turchia, ndr)».

Il potente esercito turco però non è ancora in grado di fermare i colpi di mortaio sparati dai curdi su Akcakale e altre località turche vicine al confine. Un razzo ha ucciso due persone a Suruc, portando a otto il numero dei cittadini turchi morti. A Nusabin, diverse persone sono state feriti da colpi sparati dalle Fds curde. Intanto la violenza delle cannonate turche e dei raid aerei su Tal Abyad ha costretto “Medici senza frontiere” a chiudere il suo ospedale nella cittadina dove la paura ha fatto fuggire quasi tutta la popolazione. Era l’unico nell’intera area. «Questo potrebbe lasciare migliaia di persone senza accesso ad aiuti cruciali e senza alcuna soluzione in vista», sottolinea in un comunicato l’organizzazione che chiede alle parti in guerra di «garantire l’assistenza umanitaria salva-vita».

L’ospedale di Tal Abyad non è l’unica struttura costretta a chiudere i battenti dopo pesanti bombardamenti. La Mezzaluna Rossa curda da parte sua denuncia l’impossibilità per medici e infermieri di operare nelle aree più colpite dai bombardamenti. Il dottor Hassan, intervistato dai media curdi, ha parlato di 30-35 bambini feriti gravi. Alla salvezza dei più piccoli è dedicato l’appello lanciato dall’Unicef. Tra i centomila in fuga dall’offensiva turca, sottolinea l’agenzia dell’Onu, ci sono molti bambini provenienti in maggioranza da Tal Abyad e Serekaniye. «Alcune delle persone sfollate sembra si stiano dirigendo verso Raqqa (90km a sud di Tal Abiad), mentre la maggior parte si sta dirigendo verso altre città come Ampuda, Al Derbasiya, Tal Tamer e Hassakeh», fa sapere l’Unicef.

Sul piano diplomatico si moltiplicano le condanne dell’offensiva di Ankara. Ma non mancano le approvazioni. L’ultima è quella del Pakistan che ha parlato di «diritto all’autodifesa della Turchia». Il ministro della difesa Akar ieri ha discusso al telefono con alcuni colleghi stranieri fra cui lo statunitense Mark Esper, il britannico Ben Wallace e il francese Florence Parly. In apparente contrasto con il via libera dato da Donald Trump all’avanzata anti-curda, Esper ha o avrebbe detto ad Akar che l’operazione in corso potrebbe portare a «serie conseguenze» per la Turchia e favorire l’Isis. Esper ha aggiunto che fermare ora l’offensiva consentirebbe ad Ankara di aprire uno spazio per colloqui volti a trovare «una via comune per ridurre le tensioni prima che la situazione diventi irreparabile». Dichiarazioni che servono a placare le critiche all’Amministrazione Usa finita sotto accusa, anche in casa, dopo l’annuncio del ritiro dei soldati statunitensi dalla Siria nordorientale. Esper peraltro nega che sarà completato.

La verità è che mentre Erdogan avanza sul velluto, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ancora non trova un accordo su una dichiarazione comune per condannare l’offensiva turca. I Paesi europei vorrebbero una condanna esplicita ma Usa e Russia frenano sui toni. Washington ha diffuso una bozza di dichiarazione in cui si afferma che le preoccupazioni per la sicurezza della Turchia sono «legittime».

* Fonte: Michele Giorgio, il manifesto



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