Libici sparano contro la nave Alan Kurdi che soccorre 109 naufraghi

by Adriana Pollice * | 27 Ottobre 2019 11:13

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La nave umanitaria Alan Kurdi, dell’ong tedesca Sea Eye, ieri era a nord ovest di Zuwara. I suoi mezzi veloci di soccorso erano in acqua per un evento Sar: un gommone con 92 persone a bordo rischiava di affondare.

I volontari avevano appena finito di distribuire i giubbotti di salvataggio quando tre motoscafi con mitragliette a prua e bandiera libica a poppa li hanno circondati: «Hanno sparato colpi in aria e in acqua, i naufraghi si sono spaventati e, in preda al panico, una parte è finita in mare – ha spiegato il portavoce di Sea Eye, Gordon Isler -. Per il nostro equipaggio è stato uno choc totale, non c’era mai successo nulla di simile. I 92 migranti e i 17 membri dell’equipaggio si sono sentiti in pericolo di morte. Il team medico è preoccupato per una donna incinta».

SI SONO EVITATI ANNEGAMENTI solo grazie al fatto che tutti avevano già ricevuto il salvagente. I motoscafi si sono poi allontanati e così i naufraghi sono stati recuperati dai volontari, che li hanno portati a bordo dell’Alan Kurdi per poi fare rotta verso nord. C’è invece preoccupazione per i migranti a bordo di un barcone in legno: «I libici hanno lasciato l’area ma una seconda imbarcazione è stata rapita da loro» ha raccontato su twitter l’ong tedesca Sea Watch, che ha postato le immagini. Ai soccorsi e alle minacce ha assistito dall’alto dall’aereo di ricognizione Moonbird di Sea Watch e della svizzera Humanitarian pilot initiative.

MA CHI ERANO GLI EQUIPAGGI a bordo dei motoscafi? Non avevano i mezzi della Guardia costiera di Tripoli, sembravano piuttosto miliziani ma nel pomeriggio è arrivata una differente ipotesi: sarebbero state unità di sicurezza costiera libica di Zuwara subordinate al ministero dell’Interno.

E questo dà la misura di quanto sia impossibile continuare a sostenere accordi con un paese senza stato, dove non c’è certezza del rispetto del diritto, delle convenzioni internazionali o della vita umana né di chi siano davvero gli attori in campo. «Con che coraggio l’Italia rinnoverà gli accordi con la Libia? Che altro deve succedere per sospendere i nostri sporchi rapporti con questi criminali?» ha commentato ieri Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch. Il governo non chiarisce la propria linea così i politici procedono in ordine sparso.

«No al rinnovo degli accordi con la Libia e subito una commissione d’inchiesta per indagare su quanto accaduto. Non farlo significherebbe essere complici» ha ribadito ieri il dem Matteo Orfini. E Nicola Fratoianni, di Sinistra italiana: «C’è un sistema di interessi nelle milizie libiche sulla gestione dei lager per i migranti e la cattura successiva in mare degli stessi migranti. Questi personaggi inquietanti hanno avuto e hanno rapporti ufficiali con apparati del nostro stato. Vogliamo che sia fatta chiarezza da parte di questo governo. Gli accordi con la Libia non siano rinnovati dall’Italia». Emma Bonino di +Europa ha affidato ai social un lungo post: «I libici minacciano l’Alan Kurdi. Non sono bastati i rapporti dell’Onu, le denunce di organizzazioni sul campo e le testimonianze a fermare la collaborazione tra governo italiano e forze libiche. La decisione di fermare gli arrivi a tutti i costi ha portato l’Italia, e subito dopo l’Ue, a mettere da parte principi e norme di diritto, affidando a milizie spietate il controllo di una parte del Mediterraneo e procedendo, per loro tramite, ai respingimenti».

Per poi concludere: «C’è un’ambiguità pericolosa nei rapporti del governo italiano del 2017 con alcuni capi delle milizie libiche, tra cui il famigerato trafficante Bija su cui pendono sanzioni dell’Onu. È impensabile che gli accordi con la Libia vengano rinnovati». L’ex senatore 5S, ora al Misto, Gregorio De Falco non usa messi termini: «Secondo voi dovremmo ancora mantenere gli accordi con quei delinquenti?».

L’UNICO IMPERTURBABILE è l’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che prosegue nella sua propaganda contro le organizzazioni non governative: «C’è un’altra nave delle ong, la Alan Kurdi, con 109 persone a bordo, provate a immaginare dove proveranno ad attraccare. Se il ministero dell’Interno, invece di convocare poliziotti, militari e carabinieri, ne riceve gli esponenti, il punto di approdo sarà quello lì».

* Fonte: Adriana Pollice, il manifesto[1]

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