by Simone Pieranni * | 24 Ottobre 2019 10:48
A sei mesi dalla sua prima lettura nell’Assemblea legislativa di Hong Kong, la proposta di riforma della legge sull’estradizione (che avrebbe permesso a cittadini dell’ex colonia di essere estradati anche a Macao, a Taiwan e in Cina) è stata ufficialmente ritirata.
L’azione era già stata annunciata dal capo dell’esecutivo Carrie Lam tempo fa, nel bel mezzo delle proteste che durano ormai da quattro mesi, ma solo ieri si è avuto l’atto ufficiale che conclude l’iter del discusso provvedimento, ma non certo la generale situazione – caotica – dell’ex colonia britannica.
NELLE ULTIME SETTIMANE non si sono fermate le proteste, benché meno partecipate di quelle iniziali e contrassegnate dal confronto molto duro tra manifestanti e polizia. Ma nelle ultime ore a tenere banco è l’articolo del Financial Times nel quale, secondo fonti pechinesi, il partito comunista cinese sarebbe pronto a mettere in campo un piano che prevede, entro marzo prossimo, la rimozione dal suo incarico di Carrie Lam e la sua sostituzione con potenziali candidati.
Immediata è arrivata la smentita da Pechino, ma di sicuro nelle stanze segrete di Zhongnanhai (il quartier generale del Pcc) da tempo si discute dell’affidabilità o meno di Carrie Lam e di come trovare una soluzione alla sua ormai sbiadita e sfiduciata leadership. Secondo il report del Financial Times il successore della chief executive di Hong Kong subentrerà da marzo del prossimo anno, e dovrebbe rimanere in carica fino a quella che è la scadenza del mandato di Lam nel 2022 (la carica dura 5 anni e Lam è stata nominata nel 2017).
Tra i principali candidati alla successione di Lam le fonti del Ft indicherebbero «Norman Chan, a capo dell’Autorità monetaria di Hong Kong, e Henry Tang, figlio di un magnate del settore tessile, già segretario delle finanze e segretario capo per l’amministrazione di Hong Kong». Questa testi non pare però potersi avverare, a causa della Basic Law che prevederebbe, in teoria, un iter diverso in caso di revoca del mandato della chief executive, benché, come riporta il quotidiano finanziario britannico, «quando Tung Chee-hwa, primo capo esecutivo di Hong Kong, ha rassegnato le dimissioni nel 2005, Donald Tsang, il burocrate di più alto livello della regione amministrativa, gli è subentrato sino alla conclusione del mandato, ed è poi stato rieletto ad per un ulteriore mandato quinquennale nel 2007».
SECONDO FONTI ascoltate da Reuters, in realtà, non sarebbe tutto così semplice: un alto funzionario di Pechino ha riferito infatti che nessuno dei candidati suggeriti dal Ft «potrebbe subentrare a Lam», proprio a causa della Basic Law: se Carrie Lam non fosse in grado di adempiere alle proprie funzioni, «queste verrebbero temporaneamente assunte dal segretario amministrativo, dal segretario finanziario o dal segretario alla giustizia, in questo ordine». Entro sei mesi, a quel punto si dovrebbe provvedere a selezionare un nuovo leader.
PUR NEGANDO che Pechino abbia davvero intenzione di mettere in atto il piano indicato dal Ft, le fonti sentite da Reuters hanno confermato che la Cina ha pronti tutti i «piani di emergenza per diversi scenari a Hong Kong, inclusa l’amministrazione Lam che sta perdendo totalmente il controllo della situazione».
Con le eventuali dimissioni di Lam, una volta ufficializzata la morte giuridica della contestata legge, Pechino si metterebbe di sicuro in una posizione di forza sia rispetto ai manifestanti, di cui di fatto avrebbe esaudito due punti, uno dei quali fa parte delle «cinque richieste», considerati dirimenti dalla protesta.
* Fonte: Simone Pieranni, il manifesto[1]
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