Hong Kong, arresti e repressione, la polizia spara

Hong Kong, arresti e repressione, la polizia spara

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Tutto era stato preparato nei minimi dettagli: la parata militare più imponente di sempre; la festosa sfilata in piazza Tian’anmen con i simboli del miracolo economico; il rituale appello all’unità nazionale e alla «riunificazione pacifica alla madrepatria». E invece il 70° anniversario della Repubblica popolare sarà probabilmente ricordato per gli scontri violenti andati in scena a Hong Kong, dove da giugno la popolazione protesta contro l’ingerenza cinese e l’erosione dell’autonomia promessa nel 1997 al momento dell’handover.

A NULLA SONO SERVITE le misure di sicurezza preventive dispiegate in mattinata per assicurare il pacifico svolgimento dei festeggiamenti, quest’anno organizzati al coperto, senza fuochi d’artificio, e presieduti dal capo segretario Matthew Cheung in sostituzione della governatrice Carrie Lam, convocata in extremis a Pechino per le celebrazioni.

Dopo una prima marcia pacifica nel centro di Hong Kong Island, nel pomeriggio di martedì nuovi disordini si sono verificati tanto a Causeway Bay e Admiralty, sede degli uffici governativi, quanto a Kowloon e nei Nuovi Territori, dove la polizia ha fronteggiato alcuni manifestanti armati di bombe Molotov con lacrimogeni, cannoni ad acqua e, per la prima volta, persino colpi d’arma da fuoco, fino a ieri diretti solo verso l’alto. Secondo quanto confermato dalla polizia, nel sobborgo di Tsuen Wan un ragazzo è stato colpito al petto da un proiettile mentre tentava di aggredire un agente con una spranga di ferro. Il diciottenne, ricoverato presso il Princess Margaret Hospital, è in condizioni gravi ma non in pericolo di vita.

SAREBBERO ALMENO SEI i colpi sparati dagli agenti in varie parti della città, stando a quanto riportato dalla stampa locale. Il bilancio provvisorio è di circa 50 feriti, compresi alcuni poliziotti attaccati con un liquido corrosivo. Oltre 180 sono le persone arrestate in relazione a violenze commesse in 13 distretti. Da tempo, a Hong Kong, la ricorrenza del 1 ottobre rappresenta un’occasione per protestare contro il soffocante abbraccio della madrepatria. Ma quest’anno il tentativo di introdurre una legge che – se approvata – avrebbe compromesso l’indipendenza giudiziaria dell’ex colonia britannica ha fatto lievitare il malcontento popolare a un nuovo massimo storico.

DOPO MESI DI MARCE pacifiche e scontri violenti il provvedimento è stato formalmente ritirato, mentre il governo locale ha provveduto a riallacciare il dialogo con i cittadini promettendo misure volte a rilanciare la mobilità sociale e ridurre il costo della vita, arrivando persino a ventilare l’introduzione di riforme politiche una volta ristabilito l’ordine. Una proposta a cui ieri i manifestanti hanno risposto esponendo le cinque dita della mano. Cinque come le richieste finora disattese, prima tra tutte l’avvio di un’indagine sull’operato della polizia e l’introduzione del suffragio universale per cui si erano battuti invano gli Ombrelli nel 2014.

IL VISIBILE AFFANNO dell’amministrazione locale rende oggi l’intervento diretto di Pechino un’ipotesi non più così remota. Avviando le celebrazioni, nella giornata di ieri il presidente cinese Xi Jinping ha promesso «prosperità e stabilità» sotto il motto «un paese due sistemi», riaffermando però la necessità di tutelare la sovranità nazionale. Un monito reso più minaccioso dal recente assembramento di nuovo personale militare nella regione amministrativa speciale.

Secondo Reuters, al momento Pechino manterrebbe in loco la forza attiva più massiccia di sempre se ai membri dell’esercito regolare si somma il personale della Polizia armata del popolo, corpo armato controllato direttamente da Xi con funzioni antisommossa.

* Fonte: Alessandra Colarizi, il manifesto



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