Sicurezza dei ponti, report falsificati. Autostrade nei guai
GENOVA. Nell’agosto del 2018, stesso mese del crollo del ponte Morandi, un cavo d’acciaio del viadotto Pecetti, sulla A26 tra Genova e Gravellona, si era rotto. Tuttavia, dai report inviati al Mit non risultava. Quel «problemino» avrebbe comportato limitazioni al traffico e il mancato passaggio di trasporti eccezionali e quindi di incassi extra per il concessionario. Rispetto a un altro viadotto, il Paolillo, in Puglia, sulla A16 – «un ponticello da 11 metri» sottolinea una nota di Autostrade per l’Italia – la relazione per il ministero presentava chiare difformità tra progetto ed esecuzione dei lavori di manutenzione.
FALSI IN PIENA REGOLA e un sistema di pressione preoccupante quanto scoperto dalla guardia di finanza di Genova, coordinati dai sostituti procuratori Massimo Terrile e Walter Cotugno, che hanno portato a tre arresti con la misura cautelare dei domiciliari per Massimiliano Giacobbi, dirigente della divisione Esercizio e nuove attività di Spea (Società Progettazioni Edili Autostradali, del Gruppo Atlantia), Lucio Torricelli Ferretti, direzione VIII tronco di Autostrade e come Gianni Marrone, anch’egli direzione VIII tronco, già condannato per la vicenda del pullman di Avellino. Interdizione per un anno dagli incarichi per altre nove persone tra funzionari Spea e un consulente esterno: Maurizio Ceneri, Andrea Indovino, Luigi Vastola. Gaetano Di Mundo, Francesco D’antona e Angelo Salcuni. Per il gip, le condotte degli indagati sono «gravemente minatorie della sicurezza degli utenti della strada». Ad aggravare la posizione dei nove il fatto di essere pienamente consapevoli di quello che stanno facendo.
IL CASO PIÙ ECLATANTE è quello di Ferretti che, secondo le fiamme gialle, ha utilizzato un dispositivo chiamato jammer, in grado di creare frequenze che potessero interferire con le intercettazioni. Non abbastanza, comunque, perché in una telefonata del 4 dicembre 2018, lo stesso ingegnere, informato da un suo sottoposto della «perdita di decompressione del viadotto Pecetti» risponde: «l’importante è che sulle carte che abbiamo siamo a posto». Un altro passaggio interessante è quello relativo ai testimoni chiamati a presentarsi in procura a Genova. «Eh l’ho saputo il giorno prima… Il problema è che dovremmo capire chi chiamano, e quello si prepara», dice uno degli indagati. Non si erano preparati abbastanza, evidentemente.
È PROPRIO A PARTIRE da uno degli interrogatori delle persone informate dei fatti nell’ambito dell’inchiesta sul crollo di ponte Morandi che nasce, un anno fa, l’inchiesta «bis» sui report relativi ad altri viadotti. I tecnici di Spea avevano raccontato agli inquirenti che le relazioni «talvolta erano state cambiate dopo le riunioni con il supervisore Maurizio Ceneri». L’inchiesta «bis» aveva portato quindi all’iscrizione nel registro degli indagati di 15 persone. Oltre al Paolillo e al Pecetti, nel mirino degli investigatori erano finiti anche i viadotti Moro, vicino Pescara, il Sarno, sulla A30, il Sei Luci, sullo stesso snodo del Morandi e il Gargassa, sempre in Liguria. Nell’ordinanza del gip rilevazioni gravi anche su Andrea Indovino, funzionario di Spea. In una conversazione intercettata avuta con Giacobbi, parlando dello stato del ponte Paolillo, afferma: «Ma se esce il problema poi diventa non più colposo ma doloso, e a quel punto?». Per il gip Indovino «propende per raggiungere gli obiettivi esulanti da quelli fisiologici di garantire la sicurezza dei trasporti, mediante laboriose attività di taglia e cuci finalizzate al superamento sulla carta dei vincoli che deriverebbero dallo stato di fatto degli accertamenti». Non migliore la valutazione sul comportamento di Maurizio Ceneri che mostra «disinvoltura nel modificare gli atti» e «risulta aver concordato preventivamente con Giacobbi la versione da rendere agli inquirenti e i documenti da consegnare».
GLI SVILUPPI DELL’INCHIESTA si sono proiettati immediatamente su piazza Affari. Il titolo Atlantia ha perso fino all’8% ed è stato momentaneamente sospeso per eccesso di ribasso. Intanto Autostrade per l’Italia si affida a una nota in cui viene assicurato come «nel report inviato il 4 dicembre 2018 al ministero delle Infrastrutture non fosse riscontrato alcun problema riguardante la sicurezza di questi e altri viadotti, verificati anche da società esterne specializzate». Aspi segnala che «aveva già provveduto a cambiare la sede operativa dei due dipendenti interessati dai provvedimenti della magistratura» e «si riserva di attivare ulteriori azioni a propria tutela, restando a disposizione degli organi inquirenti».
* Fonte: Giulia Mietta, il manifesto
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