by Marina Catucci * | 21 Settembre 2019 9:21
NEW YORK.Lo sciopero di New York è cominciato ufficialmente alle 12:30, con un concentramento nella piazza di Foley square da dove è partita una marcia verso Battery Park, l’estrema punta sud di Manhattan, dove si è tenuto un comizio dalle 15 alle 17 con l’intervento conclusivo di Greta Thunberg.
E proprio Greta ha celebrato le prime mosse dell’azione globale: «I primi numeri – ha raccontato – dicono 400.000 persone in tutta l’Australia, 100.000 a Berlino, 100.000 a Londra, 50.000 ad Amburgo».
2993 CITTÁ, 162 NAZIONI, 7 continenti: il #ClimateStrike, lo sciopero per il clima, si è inserito nella lista delle manifestazioni globali che hanno avuto inizio il 15 febbraio del 2003, quando per la prima volta il mondo è sceso in piazza compatto per portare avanti un’istanza comune, trasversale, in quell’occasione era l’opposizione alla guerra in Iraq, questa volta è la difesa del pianeta.
I TEMI NON SONO GENERICI, lo sciopero ha una serie di richieste che si legano ampiamente a quelle del Green New Deal che lega l’ambiente all’economia, e includono l’abbandono dei combustibili fossili e un adeguato carico di responsabilità per gli inquinanti. Le origini di queste manifestazioni risalgono a un anno fa, e sono ispirate dalle proteste solitarie della sedicenne Greta Thunberg davanti al Parlamento svedese; i ragazzi di tutto il mondo hanno iniziato ad aderire ai Climate Strikes for Future, per ricordare agli adulti che contro i cambiamenti climatici bisogna agire e subito.
QUESTI SCIOPERI GLOBALI per il clima in un anno sono diventati un movimento di protesta civile capace di portare in piazza milioni di persone alla vigilia del Climate Summit dell’Onu che si terrà a New York il 23 settembre. «Oggi abbiamo fatto un walk out – dice Jordan 17enne del Queens – siamo usciti in massa da scuola per aderire al Climate Strike, e questa non ci verrà contata come assenza. Dobbiamo invertire ciò che hanno fatto i nostri genitori. Hanno rovinato tutto lasciando che troppe cose progredissero solo perché pensavano ci avrebbero aiutato in futuro, beh in realtà non ci aiutano affatto in futuro».
GLI STUDENTI SONO ARRIVATI al concentramento di Foley Square con un messaggio che ricorda molto quello dei loro coetanei del movimento contro le armi, NeverAgain. «Sappiamo che i potenti fino ad ora hanno privilegiato il capitalismo e le industrie private rispetto al nostro benessere reale – dice la 17enne Olivia – e abbiamo un messaggio per loro: li stiamo guardando e anche se non siamo ancora in età di voto, lo saremo presto». A parlare dal palco di Foley square prima dell’inizio del corteo, c’era Marisol Rivera, attivista di 13 anni la cui casa è stata distrutta durante l’uragano Sandy: «Non possiamo lasciare che le persone soffrano, tutti noi meritiamo di vivere liberi da combustibili fossili e avere una vita migliore. Ciò che è accaduto a me può accadere alle persone che conoscete e a cui volete bene».
Mentre Manhattan si aspettava l’intervento di Greta Thunberg, a Brooklyn un altro gruppo di attivisti aveva organizzando il Frontline Climate Strike, focalizzato sulle comunità a basso reddito che rischiano di essere maggiormente colpite dall’ingiustizia ambientale e dalla crisi climatica.
«È tutto un solo problema – dice il 16enne Pedro, che si definisce newyorican, newyorchese di origine portoricana – la gente che scappa da zone dove gli uragani sono devastanti e non ci sono risorse per ricostruire scappa in altri Paesi dove non li vogliono, i poveri diventano sempre più poveri, insicuri, svantaggiati. Bisogna aggiustare questo tipo di società e ciò che fa impazzire il clima, perché sono la stessa cosa».
* Fonte: Marina Catucci, il manifesto[1]
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