GLI SGOMBERATI sono tornati ieri nel quartiere di Primavalle, storica borgata romana costruita nella seconda metà degli anni ’30 per ricollocare gli abitanti che il regime fascista aveva allontanato dal centro della città. Mentre in piazza di Capecelatro si svolgeva un presidio, a poche decine di metri si è tentato di riaprire un palazzo. L’edificio, di proprietà privata, è vuoto da oltre dieci anni e si trova in via Battistini 466, proprio dietro la sede del XIV municipio.
Tutta la zona, però, era presidiata dai blindati di polizia e carabinieri e da diverse macchine di agenti in borghese. Questi sono arrivati immediatamente sul posto, già monitorato, intervenendo con durezza per impedire l’occupazione. Nel parapiglia una donna è stata spinta sulla porta d’ingresso e ha riportato un taglio profondo al braccio. Quando il presidio si è mosso per raggiungere l’edificio, la donna giaceva a terra sull’asfalto e diverse persone erano bloccate nel cortile interno da un cordone di carabinieri.
«NON CHIEDIAMO UNA CASA GRATIS, vogliamo un affitto proporzionale al nostro reddito. Lavoriamo tanto, ma non guadagniamo abbastanza per pagarne uno normale» dice Hassan, cittadino italiano nato in Marocco. «Ho pagato l’affitto per oltre 20 anni ma quando è arrivato il secondo figlio non ce l’ho più fatta, così abbiamo occupato – continua – Dopo lo sgombero io e la mia famiglia siamo stati mandati in un centro d’accoglienza a Centocelle. Ci abitano persone che hanno diversi problemi, tra cui la tossicodipendenza. Io facevo il pasticciere di notte. Per non lasciare soli i miei figli ho perso il lavoro». Anche Naj viveva nell’occupazione di via Cardinale Capranica. Ha 17 anni, madre e sorellina sono state assegnate a un centro d’accoglienza di Tor Vergata. «Non sono andato a viverci – dice – perché sto facendo uno stage in un’officina qui a Primavalle. Lavoro dalle 9 di mattina alle 8 di sera e per arrivare dall’altra parte di Roma ci vuole troppo tempo. A breve, poi, inizierò il quarto anno di scuola, sempre in questa zona. Per adesso mi ospitano degli amici, ma non è una soluzione a lungo termine. Non so che fare».
Dopo lo sgombero di metà luglio, il comune di Roma ha messo a disposizione quattro centri d’accoglienza per ospitare le persone ritenute «vulnerabili», principalmente famiglie e poi individui con problemi. I restanti sono finiti per strada o accolti da altre occupazioni della città. Da subito, però, chi è potuto andare nei centri ha denunciato le condizioni fatiscenti degli stabili. In alcuni erano presenti cimici e blatte e in nessuno è consentito di cucinare autonomamente. Nelle ultime settimane rappresentanti del comune hanno offerto agli sgomberati la possibilità di accedere al cosiddetto «bonus casa», 516 euro mensili per quattro anni come sostegno all’affitto. «Ci hanno detto: trovate una casa, firmate il contratto e venite da noi per l’erogazione del contributo – racconta Arbe – Il problema è che quando vai da un proprietario e dici che pagherai l’affitto con i soldi del comune quello non ti affitta più niente».
UN ALTRO PROBLEMA lasciato irrisolto dalla giunta capitolina è la continuità scolastica degli 80 minori che abitavano nell’occupazione sgomberata. Con le scuole alle porte l’unica possibilità sembra un bus che raccolga i bambini per portarli nelle diverse scuole del XIV municipio. «I centri in cui siamo stati divisi si trovano a decine di chilometri da questo quartiere e sono molto lontani tra loro – continua Arbe – Hanno pensato a quanto tempo impiegherebbe questo bus a percorrere i quattro angoli della città con il traffico che c’è ogni mattina?».
Dopo l’azione di protesta, una delegazione di ex occupanti è stata ricevuta dal presidente di municipio Alfredo Campagna (M5S). All’esponente politico, che ha sottolineato la mancanza di titolarità dell’istituzione che amministra rispetto al tema, è stato chiesto di farsi promotore di un incontro con l’assessore alle politiche sociali di Roma Capitale Laura Baldassarre. Si terrà questa mattina alle 9.
TRA I 29 PUNTI DEL PROGRAMMA del nuovo governo, l’emergenza abitativa si trova al primo posto, tra le «priorità con riferimento alla legge di bilancio 2020». Solo nella capitale sono decine di migliaia le persone che vivono in una situazione di precarietà abitativa, a rischio sfratto per morosità o nei residence pagati dal comune, nelle occupazioni abitative informali o in quelle dei movimenti (che da soli garantiscono una casa a circa 11mila individui). Più che di emergenza, si tratta di un fenomeno strutturale[2] che non può essere affrontato con misure spot o politiche assistenzialiste, ma necessita di investimenti consistenti nell’edilizia pubblica. A partire da un concetto semplice: la casa è un diritto. Per tutti.
* Fonte: Giansandro Merli, il manifesto[3]