Patto per l’Amazzonia, lo firmano 7 paesi dopo summit regionale

by Claudia Fanti * | 8 Settembre 2019 10:00

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A due settimane dal G7 a Biarritz, in cui i cosiddetti sette grandi hanno offerto la misera somma di 20 milioni di dollari per la lotta agli incendi in Amazzonia, sette dei nove paesi che condividono la foresta tropicale più grande del mondo si sono incontrati nella città colombiana di Leticia per concordare nuove linee di azione.

Unici assenti Guyana Francese e Venezuela, il cui mancato invito ha suscitato la protesta di Evo Morales: «Bisognava includere tutti, senza eccezioni. Al di là delle differenze vi sono i diritti della madre terra».

L’incontro, voluto dal presidente colombiano Iván Duque e dal peruviano Martín Vizcarra, è iniziato con la scena un po’ surreale dei rappresentanti dei sette paesi – oltre ai citati, l’ecuadoriano Lenín Moreno, il vicepresidente del Suriname Ashwin Adhin, il ministro delle Risorse naturali della Guyana Raphael Trotman e il ministro degli Esteri brasiliano Ernesto Araujo – riuniti in una maloca per una cerimonia ancestrale guidata dalla comunità indigena Monilla Amena.

La presenza di rappresentanti indigeni, i cui diritti sono violati in ogni modo possibile da tutti i governi della regione, non è comunque bastata a ispirare alcuna autocritica rispetto a quel modello estrattivista da tutti indistintamente promosso nei rispettivi paesi. In compenso, molte sono state le parole in difesa della foresta, dell’ambiente e della madre terra, sempre utili in termini di propaganda.

Così, il colombiano Duque (nei suoi primi 13 mesi di governo sono stati uccisi più di 90 dirigenti indigeni) ha parlato del «dovere morale» di proteggere l’Amazzonia e il pianeta, e il peruviano Vizcarra – il cui paese è coperto, per il 20% del territorio, da concessioni minerarie di varia natura con effetti devastanti sugli ecosistemi – ha evidenziato l’obbligo di adottare «decisioni drastiche».

Neppure il progressista Evo Morales appare in questo così credibile, considerando come le sue preoccupazioni riguardo alla «madre terra in pericolo di morte» per il cambiamento climatico e il consumismo «eccessivo» facciano un po’ a pugni con il via libera alle multinazionali per espandere le aree coltivate fino a 10 milioni di ettari entro il 2025 (rispetto ai 4,3 attuali), con conseguente tasso di deforestazione di un milione di ettari l’anno.

Nessun cedimento alla retorica, invece, da parte di Jair Bolsonaro che, assente all’incontro per ragioni mediche, è intervenuto in videoconferenza ponendo l’accento sulla difesa «non negoziabile» della sovranità nazionale, scagliandosi contro la demarcazione delle aree indigene e ridimensionando la portata degli incendi rispetto a «questo inutile furore internazionale».

Ma un risultato l’incontro lo ha avuto: la firma del Patto per l’Amazzonia che prevede, tra l’altro, la creazione di un meccanismo di cooperazione regionale e di interscambio di informazioni contro le economie illegali che minacciano la foresta e la costituzione di una Rete amazzonica di cooperazione per far fronte alle emergenze.

* Fonte: Claudia Fanti, il manifesto[1]

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