by Roberto Ciccarelli * | 12 Settembre 2019 8:47
Commissione Europea. Polemica dei «rigoristi» sull’incarico all’Economia. Markus Ferber (Csu): “Che proprio un italiano debba sorvegliare un paese problematico come l’Italia è tutt’altro che una costellazione ideale”. Nella distribuzione degli incarichi il vice di Ursula von der Leyen è più influente. La partita della revisione del patto di stabilità e crescita e quella degli investimenti tra monetarismo e social-liberismo
I falchi rigoristi volano sulla testa del neo-commissario all’Economia Paolo Gentiloni[1] sorvegliato speciale dell’ambasciatore dei rapaci ordoliberali: il vicepresidente della Commissione Europea Valdis Dombrovskis, il plenipotenziario garante del dogma costitutivo della Fortezza Europa. Uno di loro si chiama Markus Ferber, un deputato della Csu. Ieri ha espresso un sospetto che accompagnerà a lungo il nuovo incarico di Gentiloni: «Che proprio un italiano debba sorvegliare un paese problematico come l’Italia è tutt’altro che una costellazione ideale» ha detto.
PER SUPERARE osservazioni insidiose come queste, emerse proprio dall’area tedesca che ha espresso una politica di lungo corso come la stessa presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen non ha assegnato a Gentiloni la vice-presidenza, mentre ha riconosciuto a Dombrovskis deleghe operative molto importanti, come il portafoglio affari finanziari. La distinzione è sottile, ma nei barocchismi che contrassegnano la vita e le opere dei commissari europei sembra decisiva. A Dombroskis, infatti, è stata assegnata una competenza che nella scorsa legislatura era del commissario francese Pierre Moscovici, predecessore di Gentiloni.
AL DI LÀ DELLE FORMULE, soggette a una contrattazione che continuerà nelle prossime ore tra i 27 commissari in un ritiro spirituale a Genval a 30 chilometri da Bruxelles che fa molto «team building» aziendale, la questione politico-economica è chiara: la revisione del patto di stabilità chiesta ieri dal premier Giuseppe Conte in visita di cortesia a Bruxelles dovrà passare dalle colonne d’Ercole della Commissione e poi essere valutata dai giudici supremi dei governi, quelli che davvero contano nell’Europa dei veti incrociati e dell’asse franco-tedesco. In questa tenaglia la colomba Gentiloni dovrà affrontare i falchi. Nella lettera di incarico a commissario von der Leyen è stata esplicita nell’attribuire onori e soprattutto oneri: «Gli attuali alti livelli di debito sono una fonte di rischio. Dovrai guardare come affrontare i livelli di debito pubblico e privato. Dovrai assicurare l’applicazione del patto di stabilità, usando la piena flessibilità consentita dalle regole».
SE UN CAMBIO mai ci sarà dell’architettura economica europea, avverrà verso la fine della legislatura nel 2024 nel rispetto della disciplina vigente: la flessibilità richiesta resterà pur sempre nelle regole, rispettando l’equilibrio fittizio tra una «crescita» e una «stabilità», tra una sapida immagine di un keynesismo di maniera e il monetarismo dominante il cui risultato finale è quello che si chiama «social-liberismo». Sempre che il rallentamento economico che persiste nel terzo trimestre con la Germania più vicina alla recessione tecnica non si trasformi in recessione e che lo 0,1% di crescita del Pil italiano non prosegui la sua caduta sotto lo zero della recessione l’anno prossimo. Se già la crisi precedente ha stritolato i paesi europei, ci si chiede quali saranno le prossime acrobazie lessicali dei custodi dei conti di Bruxelles. Preoccupato dal dibattito su un Gentiloni «commissariato», ieri Conte ha invitato a contare le deleghe attribuite dal consesso europeo al commissario italiano. «Le ha aumentate» ha detto. È vero: per esempio, quella sull’assicurazione europea contro la disoccupazione. Un provvedimento tutto da costruire, e non privo di insidie e incertezze. Anche Dombrovskis le ha aumentate in una diversa distribuzione delle competenze. Sempre ammesso che non sia un commissariamento del commissario, questo riequilibrio dei poteri si spiega nell’ottica di un’operazione politica tesa a includere un paese reduce da uno spettacolare rovesciamento di governo prima dominato da un chiacchierone pur sempre pericoloso come Salvini, ma oggi basato su un’intesa tra Pd e Cinque Stelle al momento a dir poco incerta quanto a prospettive. Il patto si regge sul fatto che i Cinque Stelle garantiscono la maggioranza della Commissione von der Leyen nel parlamento europeo, avendola votata e rompendo di fatto l’asse politico con i fascioleghisti a Roma il 16 luglio scorso.
FORTE di questa carta, Conte ha tenuto aperto l’altro fronte: gli investimenti sulla questione ambientale, economia digitale e «sociali» presenti nell’agenda di von der Leyen. L’idea, non nuova, sarebbe quella di spalmare nel tempo la riduzione del debito e avere obiettivi di deficit più tolleranti. Insomma, la «flessibilità» già chiesta e ottenuta in questi anni. Sullo sfondo c’è la partita sulla «regola d’oro» utile per detrarre gli investimenti dal calcolo della spesa primaria. Un progetto promosso dal neo-ministro dell’economia Roberto Gualtieri[2] che domani incontrerà i suoi omologhi a Helsinki.
* Fonte: Roberto Ciccarelli, il manifesto[3]
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