by Giuliano Battiston * | 10 Settembre 2019 9:24
Dopo un anno di estenuanti discussioni tra i Talebani e l’inviato di Trump, Zalmay Khalilzad, e dopo settimane in cui sembrava che la firma dell’accordo di pace sull’Afghanistan fosse imminente, domenica 8 settembre il presidente Usa Donald Trump ha mandato tutto all’aria. Almeno per ora.
TRUMP HA RIVELATO che aveva programmato di incontrare quella sera a Camp David i Talebani e, separatamente, il presidente afghano Ashraf Ghani, ma di aver annullato lo storico incontro a causa della postura militarista dei Talebani, incompatibile con il processo di pace. Una scusa bella e buona: mentre Trump imputava ai barbuti l’uccisione di un altro soldato Usa a Kabul, il segretario di Stato Mike Pompeo rivendicava l’uccisione di «1.000 Talebani in 10 giorni». Dunque cosa è successo veramente?
Qualcuno ritiene che la scelta di Trump sia una mossa tattica per ottenere maggiori concessioni dai Talebani. Un’ipotesi viziata da un fatto: il testo dell’accordo era chiuso, come dichiarato sia da Khalilzad, sia dai Talebani nel comunicato con cui hanno criticato l’inaffidabilità degli americani, promesso loro vendetta ma allo stesso tempo rinnovato disponibilità al dialogo. L’ipotesi più plausibile è che Trump sia stato vittima del proprio narcisismo e della propria hybris. Laurel Miller, già rappresentante speciale per Afghanistan e Pakistan del dipartimento di Stato Usa, sostiene che nell’incontro di Camp David Trump avrebbe voluto riaprire il testo dell’accordo, considerato chiuso dai Talebani. Conterebbe anche il tentativo di Trump di accelerarne la firma, cercando di metterci il cappello. Trump cercava una photo opportunity a Camp David, come vero statista e mediatore. Ma invitare i Talebani nel Maryland alla vigilia dell’anniversario dell’11 settembre ha provocato le inevitabili reazioni dei repubblicani conservatori, già ostili all’accordo. Secondo altre fonti, l’invito di Trump sarebbe stato bene accolto dalla delegazione talebana di Doha, ma non dalla Rabbari shura, la leadership del movimento, per la quale accettare l’invito prima della firma sarebbe stato un suicidio politico.
Oltre ai modi dell’annuncio, Trump paga tempi sbagliati, figli di quell’isolazionismo che derubrica gli interessi altrui – la pace in Afghanistan – a semplice corollario della spregiudicata affermazione dei propri – ritirarsi salvando la faccia. Per questo l’accordo era del tutto sbilanciato: includeva soltanto 2 dei 3 attori principali del conflitto, escludendo il governo di Kabul.
LA PRESSIONE esercitata su Khalilzad per portare a casa un accordo negoziale in tempi brevi ha mandato all’aria il «pacchetto in 4 punti, tutto incluso», da cui era partito Khalilzad, indebolendo il governo afghano. Il testo finalizzato riguardava infatti i primi due – il ritiro delle truppe straniere e la presa di distanza (secondo Mike Pompeo esplicita) dei Talebani da al-Qaeda – ma lasciava ai futuri colloqui intra-afghani (i Talebani dicono che erano fissati al 23 settembre) il cessate il fuoco e il dialogo «domestico», appunto. Un rischio enorme, come sottolineato dal governo di Kabul e da 9 tra ex ambasciatori e inviati speciali degli Usa in Afghanistan. Per i quali «il ritiro completo delle truppe» deve avvenire «solo dopo una vera pace», non prima, e includendo il governo Ghani, non escludendolo.
Nella decisione di Trump, dunque, contano anche le obiezioni di Ghani. Uscito indebolito dal negoziato, pare fosse disposto comunque a volare a Camp David, pur di ottenere qualche garanzia e chiarimento in più. Per ora esulta: le presidenziali del 28 settembre, fin qui minacciate dall’ipotesi di un governo ad interim, si terranno. Resta da vedere se saprà costruire un fronte domestico meno conflittuale e se convincerà i Talebani, fin qui inflessibili, a qualche concessione. A partire da quel cessate il fuoco che, insieme alla popolazione, invoca da anni. Senza successo.
L’INTERRUZIONE del negoziato può avere un esito positivo, se l’amministrazione Trump saprà convincere i Talebani a un cessate il fuoco e se saprà riconoscere le richieste del governo di Kabul, fin qui ospite ingrato. Ma se non si ricuce presto lo strappo trumpiano, l’ala dei Talebani meno incline al compromesso politico potrebbe recuperare credito e margini di manovra, allontanando la prospettive di un accordo diplomatico.
* Fonte: Giuliano Battiston, il manifesto[1]
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