by Chiara Cruciati * | 30 Agosto 2019 10:11
La battaglia verso una fase più cruenta: le due parti inviano rinforzi da nord e mettono in stand by la lotta al movimento sciita
Una guerra nella guerra si sta combattendo nel sud dello Yemen, una faida interna al fronte anti-Houthi già esplosa il 10 agosto[1] scorso e ora ripresa nella sua tragicità. E morte: sono almeno 51 i feriti accolti nell’ospedale di Medici senza Frontiere ad Aden, la «capitale» meridionale del paese, nonché quella ad interim del governo ufficiale di Hadi, in esilio da Sana’a dal 2014.
Di quei 51 feriti, dieci sono già morti: «Qui è il caos totale – dice Caroline Seguin, a capo del programma yemenita di Msf – A questo punto è difficile dire quale gruppo controlli i quartieri di Aden. L’aeroporto e l’area intorno sono chiuse, c’è enorme rischio di restarci intrappolati dentro».
Un rischio che è già realtà: alcuni residenti raggiunti dalle agenzie di stampa internazionali hanno parlato di combattimenti in strada e bombardamenti dal cielo: restano tutti chiusi in casa, terrorizzati.
Lì sta il “mistero”: chi sta bombardando dal cielo. Dal 2015, quando la coalizione sunnita a guida saudita ha lanciato la sua campagna militare contro i ribelli Houthi, i soli a sganciare ordigni dai caccia sono i piloti di Riyadh e Abu Dhabi. Il governo del presidente Hadi, che più che filo-saudita è uno strumento diretto della petromonarchia, accusa gli Emirati, ufficialmente suoi alleati.
Ma sono “più” alleati dei separatisti meridionali, movimento mai sopito dopo l’unità tra nord e sud dello Yemen nel 1990 e che questa guerra ha rinvigorito. Grazie anche, e soprattutto, agli ingenti aiuti militari forniti da Abu Dhabi il cui poco occulto proposito è ritagliarsi un posto al sole nel massacrato paese vicino. Ha scelto uno dei luoghi più strategici: Aden e la costa sud, quella che si affaccia sullo stretto di Bab al-Mandab e il traffico petrolifero verso l’Europa.
Che le bombe di ieri siano degli Emirati o dei Saud (con i primi sospettati numero uno, visto che le vittime sarebbero 30 soldati governativi), resta il dato politico: lo scontro interno alla coalizione (e per osmosi al Consiglio di cooperazione del Golfo senza il comune avversario, il Qatar) è realtà.
Come accaduto sporadicamente dal 2017, separatisti e governativi tornano a combattersi, nel silenzio ufficiale dei due sponsor. Il Consiglio di transizione meridionale (Stc), braccio politico delle milizie separatiste e autorità parallela, fondata dall’ex governatore di Aden (licenziato da Hadi nel 2017) Al-Zoubeidi, ha preso il controllo di Aden e della vicina provincia di Abyan, a partire dalla città di Zinjibar, dal dicembre 2015 all’agosto 2016 occupata da al Qaeda nella Penisola arabica (un elemento non da poco: per la ripresa di Aden in mano Houthi venne alla luce una non dichiarata alleanza tra qaedisti, filo-sauditi e separatisti, tutti uniti dalla guerra agli sciiti).
Ieri il vice presidente del Stc, Hani bin Breik, pubblicava una foto e un video in cui lo si vede passeggiare per la “capitale” del sud: «A chiunque dica che la resistenza meridionale sta scappando: siamo qui», dice in mezzo a miliziani armati fuori dall’aeroporto di Aden. Intanto il portavoce Haitham Nezar ribadiva: «Il nostro obiettivo è cacciare gli invasori dal sud».
Insomma, non finisce qui: la città costiera si prepara a una battaglia cruenta, visti i movimenti militari nelle province limitrofe e il livello di equipaggiamento militare a disposizione, fornito dai giganti saudita ed emiratino. Sia i governativi che i separatisti stanno inviando rinforzi da nord, sospendendo di fatto il conflitto contro gli Houthi.
Tra loro migliaia di uomini del gruppo paramilitare Security Belt in arrivo da Hodeidah. Foraggiata e armata da Abu Dhabi, di cui – raccontò un anno fa un’inchiesta dell’Ap – la milizia gestiva la prigione di Beir Ahmed, nota per le torture e gli abusi sessuali sui prigionieri.
* Fonte: Chiara Cruciati, IL MANIFESTO[2]
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