Spagna, l’incendio sull’isola di Gran Canaria fuori controllo
GRAN CANARIA. I dati sono impressionanti: fiamme di 50 metri, pericolosissime perché indomabili, un incendio che colpisce una zona vasta, con un perimetro di 60 chilometri, 8 diversi comuni coinvolti, bruciati già 6mila ettari di territorio, 9mila le persone evacuate, un migliaio fra addetti e volontari e 16 mezzi aerei al lavoro senza sosta per estinguere l’incendio che, da sabato scorso, ha colpito l’isola di Gran Canaria, la seconda più popolata dell’arcipelago spagnolo delle Canarie, nell’oceano atlantico, di fronte alle coste del Marocco e del Sahara occidentale. Si aspetta l’arrivo di un drone che possa inviare immagini notturne in streaming di nuovi eventuali focolai e per monitorare la virulenza delle fiamme: la preoccupazione ora è per il parco naturale di Tamadaba, più di 7mila e cinquecento ettari tra boschi e pinete, considerato il polmone verde dell’isola. Non solo una imponente pineta, anche un sottobosco lussureggiante dove piante autoctone svolgono la funzione di spugne che catturano l’acqua delle poche piogge. Un luogo prezioso perché il meno alterato dalla presenza antropica nell’arcipelago, fa parte dell’area dichiarata Riserva della Biosfera dall’Unesco, una zona di conservazione speciale che ospita la maggior parte degli uccelli presenti sull’isola, anche il gheppio, l’aquila e il falco. E poi rettili unici come la lucertola gigante.
INTANTO IL FUOCO avanza in maniera incontrollata, nonostante il massiccio dispiegamento di mezzi mai visto prima nelle isole. Le prossime 48 ore saranno decisive per il lavoro di contenimento e di estinzione. La direzione del vento gioca un ruolo fondamentale nell’evoluzione dell’incendio e nell’arcipelago canario quando si parla di vento si parla di aliseo della fascia intertropicale e di raffiche che corrono veloci. Nell’ultima conferenza stampa il presidente socialista delle Canarie, Ángel Víctor Torres, e il ministro dell’agricoltura, Luis Planas, parlano di «dramma ambientale», ma sono timidamente ottimisti nel confidare in un leggero abbassamento delle temperature notturne. Il bilancio delle case danneggiate non è ancora possibile hanno riferito – perché molte aree restano inaccessibili.
IL PARCO DI TAMADABA non è un’area popolata da umani, solo da animali e piante, in più è difficilmente penetrabile via terra dai mezzi di soccorso dei pompieri e della protezione civile. Ora che il parco è stato attaccato dalle fiamme si polemizza sugli interventi di manutenzione e pulizia delle poche, preziose, zone boschive delle isole, che come si sa vanno effettuate d’inverno.
Il capo delle emergenze del governo di Gran Canaria, Federico Grillo Delgado, collega questi incendi virulenti ai cambiamenti climatici, alle trasformazioni sociali e alle attività economiche e afferma che «sarebbero necessari tra 20mila e 25mile persone» e un «esercito di veicoli: tra le 7mila e 8mila Land Rover, oltre a 15mila motoseghe e 300 ingegneri», solo per pulire il 30% dell’area forestale dell’isola, l’area accessibile. «Pulire l’intera isola è impossibile» dice.
ESTATI SEMPRE PIÙ TORRIDE, ondate di calore, scarsità di acqua, poca umidità e fenomeni di vera siccità sono i fattori naturali oggi aggravati dal riscaldamento globale. A questi si aggiunge una gestione del territorio spesso sciatta, con una crisi che ha ridotto all’osso i finanziamenti dei mezzi di vigilanza, prevenzione e pronto intervento. All’imperizia di chi si mette a fare una saldatura in mezzo al bosco, causa di un incendio ugualmente devastante di poche settimane fa, si unisce l’avidità di chi approfitta del caldo e del vento per liberare aree appetibili al cemento. Un’ansia di speculazione edificatrice mai sopita, rianimata dall’attuale legge sull’uso del suolo, da un anno in vigore nell’arcipelago, che azzera la moratoria prodotta dall’ultima bolla immobiliare e concede ai comuni i pieni poteri per definire le aree edificabili. Una legge ancora allo studio della commissione europea per l’incompatibilità con il diritto ambientale europeo e con qualsiasi lotta contro il cambio climatico. È l’abusivismo di necessità, come ancora lo chiama qualche sindaco con riaccese speranze di nuove urbanizzazioni a basso costo o corrotto dalle catene alberghiere del turismo tutto compreso.
* Fonte: Marina Turi, IL MANIFESTO
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