Rallenta il governo giallorosso, ma il PD dice sì al taglio dei parlamentari

by Andrea Fabozzi * | 23 Agosto 2019 8:36

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Era chiaro che il taglio dei parlamentari non sarebbe stato sepolto dal crollo del governo gialloverde; per i 5 Stelle è adesso il biglietto di ingresso che il Pd deve pagare per sedersi al tavolo delle trattative sul nuovo governo. E il Pd lo pagherà, correggendo un anno di opposizione al disegno di legge costituzionale che i 5 Stelle hanno portato avanti con la Lega, e smentendo tre voti contrari in parlamento. Il quarto voto del Pd su quella riforma, ultimo e decisivo, sarà favorevole e potrebbe arrivare prima delle altre leggi che sono necessarie – come i democratici continuano a sostenere – per attenuare la lesione della rappresentanza che il taglio dei parlamentari porta con sé. La legge elettorale proporzionale, innanzitutto. E il voto arriverà senz’altro prima, come vogliono i 5 Stelle e per ovvie ragioni di tempistica parlamentare, delle altre riforme di contorno che il Pd ha sempre chiesto, come la distinzione delle funzioni delle camere. Le trattative sono già avviate su questo che però è solo il primo punto del più complesso accordo che democratici e grillini cercheranno di trovare entro martedì sul resto del programma e soprattutto sui nomi del presidente del Consiglio e dei ministri.

Per Di Maio il taglio dei parlamentari è la più forte arma di propaganda, soprattutto a fini interni. Deve poterla giocare subito per far digerire l’alleanza con il Pd a tutti i suoi. Per il Pd quella riforma era pura demagogia ma non può essere un ostacolo a un governo di legislatura. È un prezzo che si può pagare.

Zingaretti, nella nota con cui ieri sera ha comunicato il «si può fare» del Pd, ha citato le sue «proposte e principi» presentati a Mattarella e «le parole e i punti programmatici» esposti da Di Maio. Non quello che è stato detto dal capogruppo dei senatori 5 Stelle, Patuanelli, nell’assemblea dei parlamentari grillini, e cioè che la legge che taglia da 630 a 400 i deputati e da 315 a 200 i senatori (e che secondo i grillini farebbe risparmiare 500 milioni a legislatura, ma è un calcolo ampiamente truccato per eccesso) «è il presupposto per il prosieguo della legislatura e per darle solidità». Del resto nei suoi tre punti presentati a Mattarella durante le consultazioni, Zingaretti aveva detto «no alla riforma così com’è stata scritta e votata fino ad oggi». Anche per questo i parlamentari renziani erano insorti, accusando il segretario di chiedere troppo per far saltare le trattative. Renzi per primo aveva individuato questo come il punto per agganciare i grillini e in conferenza stampa, la settimana scorsa, aveva detto chiaramente che per lui il taglio dei parlamentari andava votato così com’era e senza bisogno di paracaduti. La retorica 5 Stelle del «taglio delle poltrone» è anche e prima una retorica renziana.

Andrea Orlando, vicesegretario del Pd, durante la giornata ha spiegato che la riforma può essere votata «in un quadro nel quale si capisca quale sarà la nuova legge elettorale». Che per il vertice del Pd (ma di nuovo Renzi non la pensa così) dev’essere una legge elettorale proporzionale. L’intervento sul Rosatellum è molto semplice, basta togliere i collegi uninominali per trasformarlo in un proporzionale con sbarramento al 3%. Ma «nel quadro» non significa «dopo». Il taglio avrà la precedenza, mentre si discute di come impegnare i 5 Stelle al resto. Per esempio mediante l’approvazione di un ordine del giorno sulle altre riforme e la presentazione di uno o più disegni di legge firmati assieme da Pd e M5S. Il rischio è che si ripeta quello che è già accaduto tra grillini e Lega sull’abolizione della prescrizione, che in teoria doveva essere vincolata alla riforma della giustizia ma che invece entrerà in vigore il 1 gennaio senza che sul processo penale sarà stato possibile fare alcun intervento.

È vero però, come è venuto fuori nell’assemblea grillina, che il taglio dei parlamentari può dare «solidità» alla legislatura. Nel senso che la riduzione dei posti per il nuovo parlamento è un incentivo a tenere in vita il vecchio. Non è detto che lo sia, invece, per quanto riguarda i tempi tecnici necessari a perfezionare la riforma, perché questi potrebbero essere più brevi del previsto. Solo 5 o 6 mesi, visto che una volta acquisito il consenso del Pd alla riforma sarà quasi impossibile proporre il referendum confermativo. E allora la legge costituzionale entrerà in vigore non appena scaduta la delega a modificare i collegi che è contenuta nella legge Calderoli già approvata. In pratica a marzo si potrebbe già votare, per un parlamento più piccolo e con l’attuale legge elettorale maggioritaria. E il rischio intatto di consegnare il paese a Salvini e Meloni.

* Fonte: Andrea Fabozzi, IL MANIFESTO[1]

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