Mercati e spread scrutano la crisi di governo. I 5 Stelle «pro-austerity»

Mercati e spread scrutano la crisi di governo. I 5 Stelle «pro-austerity»

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È tornato il «partito dello spread». Solo che stavolta a dire: «Facciamo in fretta» non è il Sole24Ore del furbetto Napoletano, ma la Lega stessa che chiede di accorciare i tempi per il voto.
Come per ogni caso di instabilità politica, i mercati reagiscono male. E l’ormai mitico – e in parte superato – «differenziale tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi» ieri naturalmente «è schizzato» – ma neanche tanto. A fine seduta era di 238 punti dopo essere salito fino a quota 240 punti base. Giovedì in fine di giornata segnava 209 punti. Il rendimento del titolo decennale italiano è all’1,80%.

LO SPETTRO DELL’ESTATE 2011 – quando Berlusconi fu costretto a dimettersi per lo spread a 600 spianando la strada al governo dei tecnici guidato da Monti – non sta in piedi. La Bce controlla ed è pronta ad intervenire.

Certo, se la fiammata persistesse fino alle elezioni, potrebbe costare allo Stato oltre un miliardo in più in termini di maggiori interessi.

In questo contesto però l’asta dei Bot a un anno ieri è filata liscia: tasso che torna in positivo allo 0,107%, rispetto al -0,061 di luglio, ma il Tesoro ha collocato tutti i 6,5 miliardi di euro di titoli in offerta a fronte di una domanda che ha raggiunto i 9,338 miliardi, con un rapporto di copertura calato solo da 1,47 a 1,44.

La situazione politica italiana ha comunque colto di sorpresa gli analisti finanziari che fino a ieri ipotizzavano un ritorno alle urne «non prima della primavera del 2020».

LA LOGICA DEI MERCATI è comunque spietata. Per gli analisti di Equita, «l’azione di governo in questi ultimi mesi era paralizzata dallo scontro tra M5S e Lega, per cui la crisi a nostro avviso sblocca questa impasse e apre a scenari di governo con maggioranze più omogenee e che potrebbero quindi essere più efficaci». Per il mercato il rischio «fascismo» è quasi positivo.

Di sicuro nelle prossime settimane Piazza Affari – che ieri ha chiuso in calo del 2,48% e ha bruciato 15 miliardi di capitalizzazione – sarà a rischio e in particolare il comparto bancario. Inoltre con i volumi ridotti ad agosto si rischiano di amplificare i movimenti» sui titoli e sugli indici.

Ieri le vendite si sono concentrate sugli istituti di credito da Banco Bpm (-9,12%) a Mps (-8,54%), Ubi (-8,42%), Bper (-7%), Unicredit (-5,13%) e Intesa (-3,63%). Pochi i titoli in controtendenza, tra cui Atlantia (+2,94%), che ha beneficiato proprio della crisi di un esecutivo orientato a levarle la concessione dopo la tragedia del ponte Morandi di Genova. Con il M5s che ha subito sottolineato il dato – dimenticando che si tratta del nuovo partner scelto da Di Maio per Alitalia – accusando la Lega di essere «il partito delle lobby e degli affari».

E ALLORA PER INVENTARSI QUALCOSA che aiuti l’establishment, economisti del rango di Tito Boeri si sono lanciati nell’iperbole: la prossima campagna elettorale «si prospetta come un referendum sull’uscita dall’Euro».

A meno di non voler dare credito alle sparate di Borghi – non a caso messo, assieme a Bagnai, a capo di una commissione parlamentare e non in ruoli di governo – è chiaro che Salvini non ci pensa neanche lontanamente ad uscire dalla moneta unica. E che sparate di questo genere – di professori che abboccano all’amo – non fanno altro che rafforzarlo perché fanno percepire la Lega come – finta – forza antisistema mentre tutti gli altri come «difensori dello status quo».

Anche perché il M5s ieri sembrava diventato il Pd pro austerity. La disperazione di Di Maio e soci li ha portati a denunciare «il piano leghista» per far lievitare il deficit al 3,5%, sfondando il tetto delle regole europee: insomma, i grillini come i custodi dei criteri di Maastricht. Arrivando a motivare la crisi con Salvini che ha chiesto a Conte il ministro dell’Economia e – non accontentato – ha staccato la spina all’esecutivo «responsabile sui conti».

La manovra leghista, fanno sapere sempre i 5S, vale «32-32 miliardi», tra clausole Iva (23 miliardi), spese indifferibili (4-5 miliardi) e flat tax (5-6 miliardi). Partendo da un indebitamento per il 2020 all’1,8%, con stima di crescita allo 0,7%, la manovra tutta in deficit porterebbe il rapporto con il Pil 3,5%.

UN ATTEGGIAMENTO RISIBILE per chi qualche mese fa festeggiava il deficit al 2,4% imposto in manovra dal balcone di palazzo Chigi.
In nottata arriverà il nuovo rating per l’Italia dell’agenzia Fitch sull’Italia: l’attuale è BBB con outlook negativo e potrebbe peggiorare. Ma è solo l’inizio: toccherà a Moody’s già il 6 settembre, mentre il 25 ottobre sarà poi la volta di S&P. Non si attendono comunque sfaceli.

* Fonte: Massimo Franchi, IL MANIFESTO


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