by Adriana Pollice * | 4 Agosto 2019 9:58
I 40 naufraghi a bordo dell’Alan Kurdi sono sbarcati ieri sera a Malta grazie all’accordo siglato tra Berlino e La Valletta, mentre i 121 sull’Open Arms restano senza un approdo. Le prime a toccare terra erano state, all’alba di ieri, le due donne incinte che erano a bordo della nave dell’Ong catalana Proactiva Open Arms, evacuate dalla Guardia costiera italiana a Lampedusa. Persino il Viminale, che ha vietato l’ingresso ai naufraghi, si è dovuto arrendere difronte alle loro condizioni. Jennifer e Marie sono state salvate quando già erano al nono e all’ottavo mese e mezzo. La prima, 32 anni della Nigeria, ha un’ernia addominale, i medici sulla nave le hanno fatto un’ecografia verificando che il bimbo non era in posizione, partorire a bordo sarebbe stato rischioso. L’altra, 29 anni della Costa d’Avorio, è sbarcata con la sorella: anche lei aveva il bambino non in posizione corretta. Ai volontari ha raccontato di essere stata violentata e torturata, il marito ucciso un mese fa, davanti ai suoi occhi, durante il bombardamento del centro di detenzione di Tajoura.
A bordo restano in 121: «Ogni minuto che passa la situazione peggiora», ha spiegato la capo missione Anabel Montes Mier. La nave è in stand by in acque internazionali, il sindaco di Valencia, Joan Ribó, ieri si è dichiarato disponibile ad accogliere la Open Arms, com’era accaduto a giugno 2018 con l’Aquarius di Sos Méditerranée: «Abbiamo un dovere etico e umano nei confronti delle persone che rischiano la vita per fuggire dalla guerra o dalla miseria», ha spiegato Ribó. La giunta municipale, assieme alla Generalitat, solleciterà il governo di Madrid perché apra il porto: «Le vite di queste persone non possono aspettare».
Era arrivata, invece, venerdì notte a 24 miglia da Malta l’Alan Kurdi, dell’Ong tedesca Sea Eye, con i 40 naufraghi salvati mercoledì scorso. Tra loro il piccolo Djokovic, di 4 anni, con una ferita d’arma da fuoco non curata che gli ha procurato un’infezione. In molti avevano i sintomi da stress post traumatico. In serata è arrivato il via libera all’ingresso in porto dei naufraghi attraverso il trasbordo sulle navi della Marina, come annunciato dal premier Joseph Muscat.
La capo missione Barbara Held aveva spiegato: «I libici aveva indicato Tripoli come porto di sbarco, ma non li avremmo mai riportati indietro. L’Italia ci ha consegnato il divieto a entrare nelle acqua territoriali, dicendoci di andare a Malta perché il salvataggio era avvenuto in zona Sar maltese e, se ci fosse servito un medico, di farcelo mandare da La Valletta». Held smentisce la ricostruzione fatta dalle autorità italiane: «Non è vero che eravamo in zona Sar maltese, il salvataggio è avvenuto al largo della Libia. In base alle norme il porto sicuro più vicino era Lampedusa, invece abbiamo dovuto fare un viaggio di 20 ore».
La Sea Eye ieri si era quindi appellata a La Valletta: «Serve una soluzione umanitaria che consenta ai migranti di sbarcare. Siamo pienamente consapevoli che la responsabilità non è di Malta ma dell’Italia». La diplomazia di Berlino ha convinto Muscat, gli stati europei si attiveranno per ricollocarli tutti. In Italia il ministro Salvini continua a ripetere: «Senza permesso da noi non si entra».
Intervista a Riccardo Gatti. «Facevano fatica persino a camminare per le violenze fisiche subite durante la detenzione. Ci stiamo concentrando sul prestare le prime cure». Solo all’alba Roma concede lo sbarco di due naufraghe incinte dalla Open Arms
Riccardo Gatti, direttore di Open Arms Italia, è a bordo della nave dell’Ong catalana che giovedì ha salvato 55 naufraghi e venerdì ne ha soccorsi altri 69. L’imbarcazione è in stand by tra la Tunisia, Lampedusa e Malta poiché né Roma né La Valletta hanno assegnato il place of safety, il porto sicuro dove sbarcarli.
Gatti, in che condizioni erano i mezzi su cui erano i migranti?
I primi viaggiavano su un barchino in legno con un foro, imbarcava acqua da prora. Lo scafo era appoggiato dal lato destro. Abbiamo appena fatto in tempo a terminare le operazioni di salvataggio che è affondato. I secondi erano alla deriva su un gommone con il motore rotto. In questo caso quello che ci ha colpito erano le condizioni delle donne a bordo: facevano fatica persino a camminare per le violenze e gli abusi fisici subiti durante la detenzione in Libia. Il primo era al limite della zona Sar maltese, a 90 miglia dalla Libia; il secondo appena dentro le acque maltesi. Adesso siamo bloccati nel Mediterraneo senza un porto, ci stiamo concentrando sul prestare le prime cure alle persone che abbiamo a bordo.
L’Italia ha fatto sbarcare due donne al nono mese.
Avevamo comunicato ai Centri di coordinamento le condizioni dei naufraghi e, in particolare, le condizioni delle due donne incinte. Ma l’unica risposta che ci è arrivata via mail da Roma è stato il divieto firmato dal ministro Salvini a entrare nelle acque territoriali italiane, ci hanno informato che potrebbe esserci comminata una multa di 50mila euro. Ci siamo persino stupiti per la rapidità con cui ci hanno inoltrato il divieto. Roma si è convinta solo all’alba di sabato a farsi carico delle due donne che, per altro, potrebbero avere un parto complicato. Ci siamo avvicinati a Lampedusa e la motovedetta della Guardia costiera italiana le ha prese a bordo.
L’Italia con il decreto Sicurezza bis è pronta a sequestrare la nave e multare il comandante nel caso violaste il divieto del Viminale. Mentre la Spagna vi ha vietato di effettuare soccorsi senza l’autorizzazione dei Centri di coordinamento, rischiate che Madrid vi faccia un’altra multa fino a 900mila euro.
Tutte le operazioni che abbiamo fatto sono state portate avanti informando le autorità spagnole. Per adesso non abbiamo avuto alcuna comunicazione ma, se dovesse scattare la sanzione amministrativa, siamo pronti a fare ricorso. Difronte a una barca che affonda è il diritto del mare e le stesse norme internazionali a imporci di effettuare il salvataggio. Non intervenire, piuttosto, sarebbe stato un reato grave oltre che una vergogna.
A Tripoli è in corso la guerra civile, i centri di detenzioni sono finiti nella linea di fuoco delle opposte fazioni. Le condizioni dei migranti che salvate sono peggiorate in questi mesi?
La guerra e i bombardamenti rendono sicuramente la condizione dei migranti gravissima ma era molto grave anche prima, la differenza è che adesso i media mainstream se ne sono accorti. I campi di detenzione in cui le persone sono rimaste recluse per anni sono andati avanti con lo stesso sistema delle torture con o senza le bombe. I naufraghi hanno tutti addosso i segni degli abusi. Siamo in mare, attendiamo risposte dagli stati. Come sempre succede, le persone verranno sbarcate. Ci sono le norme, chiediamo che siano rispettate. Secondo i dati dell’Unhcr, nel Mediterraneo nel 2019 una persone su sei annega nel tentare di arrivare in Europa. In Italia, per adesso, pare che l’abuso di potere e il disprezzo della vita altrui siano accettati e persino osannati da una parte della popolazione. Quando se ne accorgeranno speriamo non sia troppo tardi.
* Fonte: Adriana Pollice, IL MANIFESTO[1]
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