Francia-Libia: Si riapre il caso dei fondi neri da Gheddafi a Sarkozy
A sei anni dall’apertura del caso giudiziario che vede accusato l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy di aver intessuto complesse filiere di finanziamenti occulti provenienti dalla Libia di Muammar Gheddafi, l’affaire – che dovrebbe spiegare, alla fine, il perché dell’improvviso voltafaccia di Sarko e quindi dell’invasione della Libia nel 2011 – si riaccende sulla stampa francese e presto – a settembre – tornerà nelle aule di giustizia.
Ieri il sito d’investigazione giornalistica Mediapart, al quale si deve l’inizio dell’inchiesta sui fondi neri di Sarkozy otto anni fa, è tornato a raccontare tutta la storia, in risposta ad un articolo del «sarkozista» Journal du Dimanche nel quale si accreditava la tesi secondo cui il giudice che finora ha sempre seguito il caso, Serge Tournaire, sia stato trasferito da Parigi a Nanterre a partire da settembre perché avrebbe fatto rivelazioni ad Abdallah Senoussi, ex capo dell’intelligence del regime e cognato di Gheddafi. In realtà, scrive Mediapart, si tratta di un normale avvicendamento e l’inchiesta passerà in mano al sostituto procuratore Aude Buresi, già braccio destro di Tournaire fin dai primordi nel 2013.
La ricostruzione dell’intricata trama di relazioni e valigette colme di banconote, tra gli uomini di Sarko e il Colonello, con il tramite del faccendiere libanese Ziad Takieddine, prende origine nel 2005, quando Sarko era ancora solo uno scalpitante ministro dell’Interno di Chirac. In quel tempo Gheddafi aveva l’esigenza di togliere dagli impicci Senoussi, condannato in contumacia a Parigi per l’attentato all’aereo di linea Dc10 nell’89. L’anno scorso la tela si è «impreziosita» di due rivelazioni eclatanti. Primo: Bechir Saleh, il depositario dell’archivio segreto del regime, creduto cadavere nel Danubio nel 2012, è vivo e accredita le tesi dell’accusa. Secondo: nel 2007, dopo la liberazione delle infermiere bulgare, Gheddafi strappò a Sarko un memorandum di cooperazione sul nucleare, civile ma anche «di difesa». La conferma viene dall’ex ad della società Areva, Anne Lauvergeon, all’epoca contraria.
* Fonte: Rachele Gonnelli, IL MANIFESTO
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