Di Maio gioca al rialzo e fa traballare il Conte due

Di Maio gioca al rialzo e fa traballare il Conte due

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A un giorno di schiarite, nell’altalena del Conte due segue puntuale una giornata di tempesta. Malgrado il presidente incaricato confermi i suoi appuntamenti di lavoro sul programma e l’intenzione di sciogliere la riserva a metà della prossima settimana, le trattative sono di nuovo incagliate. E non sui programmi, ma sulla composizione del nuovo gabinetto a trazione Pd-M5S. Colpa di una piazzata di Di Maio che ha riportato, parole sue, il nascente governo «al condizionale» e fatto saltare il faccia a faccia che aveva in agenda con Zingaretti.

Ci sono in campo tre idee diverse di governo il rischio che non se ne concretizzi alcuna. Di Maio ha in testa un governo che «non rinnega» il precedente, perché sarebbe come tirare un tratto di penna sulla sua stagione politica. Non è questione di filosofia ma di posti di comando: un governo in continuità deve vedere la conferma di un buon numero di ministri 5 Stelle uscenti, tutti suoi fedelissimi. E soprattutto deve confermare Di Maio vicepremier. Conte invece lavora a un governo il più possibile a sua immagine, forte del ruolo al quale si sente, adesso, innalzato. Il che significa nessun vice presidente del Consiglio, un sottosegretario a palazzo Chigi di sua fiducia e i ministri chiave (interno, esteri, economia almeno) scelti da lui ascoltando le indicazioni del Capo dello stato. In pratica la «novità» di cui ha parlato accettando con riserva l’incarico di formare il governo, sarebbe lui. Non nella persona, ovviamente, ma nell’indole. Ed effettivamente le delegazioni che lo hanno incontrato ieri e giovedì hanno trovato un Giuseppe Conte molto compreso nella parte, con tutti ha tenuto a sottolineare i suoi eccellenti rapporti con i partner europei. Ma per il Pd la «discontinuità» non può risolversi nei vestiti nuovi dello stesso premier e dunque rivendica il vice unico e i ruoli chiave del governo. Soprattutto vuol tenere lontano Di Maio da palazzo Chigi, al punto che avrebbe sondato la disponibilità dei grillini di scambiare il posto da vice premier con quello da sottosegretario a palazzo Chigi per un fedelissimo di Di Maio.

La proposta, unita alla preferenza di Conte per un governo senza vice, ha gettato nel panico Di Maio che nel primo pomeriggio di ieri ha dato un altro calcio al tavolo. Non con i nuovi 20 punti calati dalla delegazione 5 Stelle, che sono il tentativo di enfatizzare la parte programmatica della trattativa per gettare fumo sulla guerra per i ministeri. Quei punti non rappresentano un ostacolo, il problema è la consapevolezza di Di Maio che una volta retrocesso a semplice ministro e non di primissima fascia – «una umiliazione» – il suo declino politico sarebbe inarrestabile. Da qui il suo show, il suo alzare la posta. Nelle sue parole il «Conte due» e tornato «Conte bis» e il presidente indicato dai 5 Stelle è tornato «super partes» scelto «per l’eccellente lavoro svolto in 14 mesi». «Siamo orgogliosi del lavoro fatto e non rinneghiamo niente», ha detto, chiarendo il concetto in maniera sull’immigrazione. «Non ha alcun senso parlare di modificare i decreti sicurezza» se non «tenendo in considerazione le osservazioni del Capo dello stato». Osservazioni che, tra l’altro, riguardano proprio un emendamento che ha voluto aggiungere lui, peggiorando ulteriormente il decreto sicurezza-bis. Continuità anche su autonomie, giustizia, taglio dei parlamentari. Più che il merito, è il tono di Di Maio a lasciare il segno, visto che anche Zingaretti sui decreti sicurezza è retrocesso a chiedere «almeno il recepimento delle osservazioni del presidente della Repubblica». Stesso dicasi per il taglio dei parlamentari, il primo dei nuovi venti punti che si occupano anche di bracconaggio. Di Maio ha sentenziato che lo vuole «nel primo calendario della camera alla ripresa dei lavori» ma nel testo scritto lo propone «tra le priorità del calendario d’aula». E il Pd non ha obiezioni. Ma se Zingaretti ha detto che il Pd aspetta di sapere da Conte «quali dei nostri punti faranno parte del programma», Di Maio ha replicato che «o i nostri punti sono nel programma o non si va avanti, meglio votare al più presto». Senza dimenticare di ripetere che lui è il capo politico del movimento e che ha già rinunciato due volte a fare il premier, prova evidente che è del suo incarico che sta discutendo.

Saltato l’incontro tra Di Maio e Zingaretti, il Pd ha mandato da Conte Orlando e Franceschini «per discutere su programmi e contenuti con Conte e la delegazione del suo partito», dove l’enfasi è sul fatto che Conte è organicamente dei 5 Stelle. Ma si è discusso ben poco di programmi, rinviando l’appuntamento a oggi. «La precondizione – sostiene il Pd – è che Di Maio chiarisca il suo ultimatum». Intanto i capigruppo di Leu De Petris e Fornaro fanno notare che gli inviti andrebbero allargati: «I governi di coalizione si fondano su programmi condivisi e sulla pari dignità dei gruppi parlamentari che compongono la maggioranza». I voti della sinistra non possono essere dati per scontati.

* Fonte: Andrea Fabozzi, IL MANIFESTO



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