Crisi di governo. La strategia di Salvini per fermare l’accordo Pd-M5S

Crisi di governo. La strategia di Salvini per fermare l’accordo Pd-M5S

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Salvini è finito all’angolo, ma può ancora uscirne. Sfruttando l’incrocio con la riforma costituzionale che taglia i parlamentari

La decadenza epistolare della crisi «salvo intese» rende chiarissima la ragione per la quale Matteo Salvini, mentre attacca il «partito delle poltrone» e scrive nero su bianco di avere una linea diversa da quella del presidente del Consiglio, non si è dimesso da ministro dell’interno. La propaganda sulla pelle dei migranti è l’ultima arma che ha a disposizione per tentare di uscire dall’angolo dove si è cacciato da solo. E infatti continua a usare il suo ruolo al Viminale (non il suo ufficio, perché non dimentica di postare le quotidiane foto in costume) per anticipare notizie da Lampedusa e commentarle con il solito grado di umanità. L’accanimento contro i migranti sulla Open Arms potrebbe costare al ministro dell’interno un’altra indagine e una nuova richiesta di autorizzazione a procedere del tribunale dei ministri al senato, ecco all’ora un’altra ragione per tentare l’incredibile recupero dell’alleanza gialloverde. Per restare al governo. Salvini ha bisogno di una maggioranza che lo immunizzi ancora una volta dalla magistratura, come hanno diligentemente fatto i 5 Stelle nel caso della nave Diciotti.

Lo scontro epistolare con Conte dovrebbe avere come logica conseguenza la fine del governo, la conferma della sfiducia da parte della Lega, le dimissioni del presidente del Consiglio. Ma tutto questo non è affatto scontato, dal momento che Conte non ha intenzione di abbandonare il campo e Salvini sta cercando di rientrare. Una maggioranza di governo che litiga su tutto e si divide in ogni passaggio importante, consentendo ai ministri la poltrona di governo ma anche la tribuna dell’opposizione, in fondo, l’abbiamo vista all’opera negli ultimi cinque o sei mesi. Non sarebbe una novità. I 5 Stelle però resistono alle offerte di pace di Salvini e anche nella giornata di ieri attaccano, chiedendo al ministro di lasciare il Viminale. E lo sfidano a votare sul serio la sfiducia a Conte martedì, quando nel pomeriggio, quasi due settimane dopo l’annuncio della rottura di Salvini, il presidente del Consiglio farà finalmente le sue comunicazioni al parlamento, in senato.

È molto difficile che Salvini vorrà fare il primo passo. La sua mozione di sfiducia, che voleva fosse discussa prima di ferragosto, è già stata dimenticata. Ascolterà Conte, le previsioni sono che il presidente del Consiglio sarà molto duro, sul genere delle lettere che ha scritto al ministro dell’interno in questi giorni, ma senza annunciare le dimissioni. Poi il leghista deciderà cosa fare per scongiurare l’ipotesi di un governo con una larga base parlamentare che non lo coinvolga. L’alleanza Pd-M5S per un esecutivo di legislatura è l’ipotesi peggiore per il leader della Lega, ma è anche quella più difficile da realizzare. Tutte le altre possono essere delle vie di uscita a questo punto auspicabili, dal suo punto di vista. L’importante è restare al governo. Circola persino l’ipotesi che Salvini possa aprire a un governo istituzionale aperto a tutti i partiti. Si tratta in effetti dell’originaria proposta di Renzi, che nella sua prima uscita non parlò di alleanza Pd-5 Stelle ma fece un appello «a tutti, dalla Lega ai 5 Stelle, da Forza Italia alla sinistra radicale, dalle Autonomie ai sovranisti fino ai gruppi parlamentari del Pd». Un appello dunque che si rivolgeva anche al Salvini che adesso l’ex segretario Pd dice di voler fermare a tutti i costi.

Il paradosso di questa «crisi salvo intese», crisi che non si è ancora formalmente aperta e che potrebbe persino non aprirsi mai, è che Salvini è ridotto sì all’angolo, ma ha ancora la possibilità di venire fuori in maniera per lui conveniente. L’incrocio con il voto della riforma costituzionale gli offre questa chance. La prima volta il leghista se l’è giocata male, proponendo un impossibile rinvio di cinque anni dell’entrata in vigore del taglio dei parlamentari che il Quirinale ha liquidato immediatamente. Ma Salvini sa che per raggiungere il traguardo del «taglio delle poltrone» che insistono a collocare in testa alla loro propaganda, i 5 Stelle hanno bisogno di qualche altro giorno di crisi congelata: l’aula della camera esaminerà la riforma nel pomeriggio del 22 agosto. Quel voto rappresenterebbe un momento di spaccatura tra i grillini e il Pd, che con l’eccezione di Renzi resta contrario a quella riforma. La prospettiva di un governo di legislatura diventerebbe ancora più difficile. Quella di un governo assai meno ambizioso, di semplice transizione con il fardello però di una legge di bilancio difficile da scrivere, si farebbe concreta. Con la possibilità di votare, se nessuno vorrà o riuscirà a chiedere il referendum confermativo della riforma, già in primavera. L’ideale per Salvini, ragione per cui il presidente dei deputati di Leu Fornaro avverte: «Sarebbe inaccettabile che qualcuno facesse finta di aver fatto pace solo per votare insieme la riforma costituzionale con la riduzione dei parlamentari e il giorno dopo aprire formalmente la crisi di governo, Non si può scherzare con la Costituzione».

* Fonte: Andrea Fabozzi, IL MANIFESTO



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