Cimitero Marino. Naufragio al largo della Libia, si temono 40 dispersi
Cinque corpi recuperati dal mare all’alba di ieri, ma il conto dei morti potrebbe salire a 45, inclusi donne e bambini: sono gli effetti dell’ennesimo naufragio lungo le coste libiche. A sollevare l’allarme, come in molti altri casi, è stato Alarm Phone che, ieri pomeriggio, scriveva sui social: «Fino a ora 65 persone sono state trovate vive. Tra le salme sembra esserci un bambino e una donna marocchini. Il Mediterraneo è un cimitero».
Un team di International medical corps, partner dell’Unhcr, ha accolto il sopravvissuti allo sbarco ad Al Khoms per assisterli, mentre le operazioni di ricerca sono andate avanti fino al tardo pomeriggio, anche con la collaborazione dei pescatori. I superstiti vengono soprattutto dal Sudan e poi Egitto, Marocco e Tunisia. Due le donne.
ALARM PHONE aveva dato l’allarme intorno alle 3.30 di notte: «Siamo stati contattati da una barca al largo della Libia, a bordo cerano circa cento persone. Erano partiti da Al Khums tre ore prima, erano in grave pericolo. Urlavano e piangevano, dicendo che alcuni erano già morti. Abbiamo tentato di ottenere la posizione Gps – hanno proseguito i volontari – ma i naufraghi erano nel panico e non sono riusciti a comunicarla. La barca era molto vicina alla Libia, non abbiamo potuto fare altro che informare le autorità in Libia e in Italia. Temiamo che nessuno sia andato a soccorrerli». Dopo il tentativo di ricontattare i soccorsi, il silenzio: «Non siamo più riusciti a comunicare con la barca – hanno proseguito -. Alle 6 di mattina un parente ci ha chiamati preoccupato. Temeva che fossero morti». All’alba il mare ha restituito solo cinque corpi: tre gli uomini, una donna e un bambino.
Il portavoce dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Charlie Yaxley, ieri ha spiegato: «Sfiora i 900 morti il numero delle persone annegate nel Mediterraneo nel 2019. L’Unhcr chiede la revoca delle restrizioni alle barche delle ong». Ancora per l’Unhcr con Carlotta Sami: «L’Europa rimetta in campo un sistema di ricerca e salvataggio. La Libia non è un paese sicuro, le persone non possono essere riportate lì e messe in detenzione».
I SUPERSTITI finiranno in un centro libico nel mezzo della guerra civile. Lo scorso primo agosto, il ministro dell’Interno del Governo di accordo nazionale, Fathi Bashagha, ha disposto la chiusura di tre centri di detenzione per migranti ad Al Khoms, Misurata e Tajura (colpito lo scorso 2 luglio dai raid aerei del generale Khalifa Haftar, con almeno 53 morti e 130 feriti). A giugno, Medici senza frontiere aveva lanciato l’allarme su una catastrofe sanitaria dopo la morte di almeno 22 persone per malattie, probabilmente tubercolosi, nei centri di Zintan e Gharian, a sud di Tripoli.
MENTRE LE NAVI DELLE ONG vengono ostacolate nelle operazioni di soccorso (con i Centri di coordinamento e i comandi militari che non inoltrano gli alert), è partita anche un’azione contro gli aerei civili da ricognizione utilizzati per individuare gommoni e barconi in difficoltà. «L’Enac non ha concesso l’autorizzazione ai voli di Moonbird e Colibrì perché le norme nazionali, ed europee, per questi aeromobili prevedono l’uso per le sole attività ricreative e non professionali», ha comunicato l’ente. Colibrì è gestito dai francesi di Pilotes Volontaires, Moobird da Humanitarian pilote initiative in collaborazione con l’ong Sea Watch che, con Giorgia Linardi, spiega: «Ci hanno negato l’autorizzazione al parcheggio a Lampedusa sulla base della richiesta dell’Enac di un’autorizzazione per operazioni speciali, un documento che non ci hanno mai chiesto in precedenza. I due aerei hanno fatto oltre 70 missioni». Per concludere: «Abbiamo consultato gli avvocati e non è necessario. Ci viene allora da pensare che queste complicazioni burocratiche celano la volontà politica di fermare l’attività di ricognizione aerea civile per riportare i naufraghi nell’inferno libico».
* Fonte: Adriana Pollice, IL MANIFESTO
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