by redazione | 23 Agosto 2019 8:52
PARIGI. A due giorni dal G7 di Biarritz, il primo ministro britannico Boris Johnson è stato ricevuto all’Eliseo da Emmanuel Macron, seconda tappa, dopo Berlino, del tour dell’ultima chance per trovare una soluzione ed evitare la minaccia di un hard Brexit il 31 ottobre prossimo. Tra la lettera sbrigativa del presidente del Consiglio Ue Donald Tusk qualche giorno fa, la disponibilità di Angela Merkel ad accelerare le discussioni per trovare una soluzione sulla questione della frontiera tra Irlanda e Irlanda del Nord e le precisazioni di ieri da parte di Macron, la fase attuale è tutta dedicata all’interpretazione di un testo di accordo che è stato raggiunto a fatica dopo mesi di discussioni.
Per Boris Johnson, «la Gran Bretagna non può accettare l’accordo come è ora» e si dice convinto che esistono «soluzioni tecniche facilmente disponibili» per evitare il backstop, cioè la soluzione temporanea (in attesa di trovare quella definitiva) di mantenere aperta la circolazione tra le due Irlande (clausola importante degli accordi di pace del Good Friday del ’98). Johnson riprende l’ipotesi di «soluzioni tecniche», cioè un ricorso all’elettronica per non mettere frontiere materiali e permettere, al tempo stesso, che l’Irlanda del Nord esca dall’unione doganale, come il resto della Gran Bretagna. Per Johnson l’incontro con Angela Merkel è stato «incoraggiante» sulla possibilità di trovare un nuovo accordo per la questione irlandese. Merkel ha dato 30 giorni per fare chiarezza.
MA MACRON ha un’altra interpretazione delle parole della cancelliera: «Ciò che ha detto Angela Merkel e che corrisponde agli scambi che abbiamo avuto fin dall’inizio, è che ci vuole visibilità (delle posizioni) entro 30 giorni. Nessuno aspetterà fino al 31 ottobre senza cercare di trovare una buona soluzione», che deve però restare «nel quadro di quello che è stato negoziato». Per essere «molto chiaro», Macron ha ribadito che «non troveremo un altro accordo lontano da quello che è stato negoziato da Michel Barnier» (negoziatore Ue per il Brexit), che mantiene due punti fermi per la Ue: la stabilità dell’Irlanda (che sarebbe scossa da un ritorno delle frontiere) e l’integrità del mercato unico.
Johnson assicura che «mai la Gran Bretagna imporrà una frontiera tra Irlanda del Nord e Irlanda» ma a suo dire il backstop è «antidemocratico» perché equivale a inchiodare tutta la Gran Bretagna nell’unione doganale «a oltranza».
IL PREMIER BRITANNICO gioca a poker sul Brexit, in patria e nella Ue. E minaccia: l’ultima è la fine della libera circolazione dei cittadini in caso di hard Brexit. Sa che ha una maggioranza che è di fatto già sfaldata, pensa di bypassare Westminster puntando a elezioni anticipate, dove mostrando ora intransigenza contro Bruxelles spera di recuperare i voti incamerati dal Brexit Party. Cerca di inserire un cuneo nelle differenze tra paesi europei. La Germania è molto preoccupata da un eventuale hard Brexit, perché le sue esportazioni ne soffriranno proprio quando sta spuntando il rischio di recessione, aumentato dalla guerra commerciale Usa-Cina. La Francia si è mostrata più intransigente. «Facciamo la parte del cattivo» ha evocato ieri Macron. Johnson è già andato in escandescenze varie volte contro i francesi, insultati come turds (stronzi) nel negoziato, mentre l’ex presidente François Hollande era stato paragonato a un capo’ e il suo governo a dei «sanculotti».
A LONDRA ALEGGIA l’ipotesi di un secondo referendum. Ma la strada in salita. Johnson non ne vuol sentir parlare: «Quando c’è un referendum bisogna seguire le indicazioni date dagli elettori, per questo il 31 ottobre dobbiamo lasciare la Ue, con o senza accordo», afferma, senza ricordare che la data di uscita è già stata rimandata due volte. Macron ha insistito ieri sul fatto che «l’avvenire della Gran Bretagna è solo in Europa». «Voglio dire semplicemente come amico e alleato al primo ministro che tocca a lui solo costruire il proprio destino – ha aggiunto – da parte nostra ci prepariamo a tutti gli scenari, in particolare a un’uscita senza accordo, anche se non è quello che vogliamo».
* Fonte: Anna Maria Merlo, IL MANIFESTO[1]
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