Basilicata, muore una bracciante nel rogo della baraccopoli

Basilicata, muore una bracciante nel rogo della baraccopoli

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Nei capannoni dell’ex complesso industriale La Felandina a Metaponto di Bernalda, in provincia di Matera, vivono in 500. Sono migranti impegnati nelle campagne dell’area al confine tra Basilicata e Puglia. Ieri mattina è esplosa una bombola di gas e una ventottenne nigeriana ha perso la vita.

ERA NATA a Lagos, si chiamava Eris Petty Stone: in Italia dal 2015, aveva due figli minori rimasti nel paese d’origine. L’incendio ha investito tre capannoni, i pompieri hanno impiegato quattro ore per domarlo. Gli altri braccianti hanno assistito ai margini della struttura nella speranza di poter recuperare una parte dei loro averi, prima di mettersi alla ricerca di nuovo luogo dove accamparsi. La maggior parte ha il permesso di soggiorno. A La Felandina vivevano in condizioni igienico sanitarie precarie, senza corrente elettrica e acqua. «Un problema mondiale come quello dei migranti è gestito in primis dagli amministratori locali con pochi mezzi – ha commentato il sindaco di Bernalda, Domenico Tataranno -. Abbiamo da tre mesi un’ordinanza di sgombero degli immobili ma i tempi della burocrazia sono quelli che sono».

IL COMPRENSORIO INDUSTRIALE La Felandina, una superficie di 70 ettari, era stato finanziato con 106 milioni di euro, a regime prevedeva oltre 630 posti di lavoro ma la magistratura è intervenuta nel 2008 con undici ordinanze di custodia cautelare. L’area è ancora sotto sequestro. Intorno c’è un territorio molto fertile, la richiesta di manodopera copre quasi tutti i mesi dell’anno, punta di diamante è la produzione della pregiatissima fragola Candonga.

I BRACCIANTI che arrivano dall’Africa reggono l’economia: li pagano 3 euro e 50 centesimi all’ora, lavorano tra le 12 e le 14 ore al giorno come ha dimostrato l’ultima operazione di contrasto al caporalato del 19 giugno scorso. L’Osservatorio migranti Basilicata scrive: «La strategia è negare: negare che c’è malavita organizzata; negare che abbiamo bisogno di mano d’opera esterna; negare che lo sviluppo passa attraverso il lavoro, quello che fornisce case e servizi essenziali, che interrompe la spirale del caporale». Nel 2011 la comunità dei sudanesi alle porte di Metaponto era stata sistemata nei container, esperienza chiusa nel 2018. Si erano quindi spostati in una vecchia falegnameria occupata dai richiedenti asilo da dove sono poi stati sgomberati fino a occupare La Felandina.

L’ANCI BASILICATA ieri ha commentato: «L’orrenda morte di una donna in un capannone dell’area industriale (mai nata) La Felandina chiama in causa le responsabilità di ciascuno di noi. Siamo incapaci di affrontare in modo adeguato i problemi del lavoro e i problemi dei lavoratori migranti, a cui ipocritamente affidiamo le incombenze più gravose senza fornire sistemazioni adeguate». Eppure ci sono progetti già finanziati per l’accoglienza dei lavoratori, in particolare del Metapontino e dell’Alto Bradano, per 3,2 milioni euro che però non vengono attuati. «Chiediamo di intervenire per attuare il già approvato e finanziato progetto di accoglienza nella provincia di Matera e nel Metapontino – la richiesta della Cgil locale – che permetterebbe di liberare il centro abusivo de La Felandina e le relative condizioni disumane a cui sono sottoposti i lavoratori».

* Fonte: Adriana Pollice, IL MANIFESTO



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